Il percorso per ripubblicizzare il servizio idrico integrato in Campania è cominciato nel 2011 con la trasformazione dell’Arin Spa (unico azionista il comune di Napoli) in azienda speciale Abc – Acqua bene comune, un processo completato nel 2013. A luglio il Cda si è dimesso, a settembre si chiuderà il bando per la selezione dei nuovi componenti, resta in carica il presidente Maurizio Montalto, espressione dei comitati per l’acqua pubblica. Il bilancio consuntivo 2014, in via di approvazione, dovrebbe chiudersi con un attivo di circa 8 milioni, di cui oltre 6 derivanti dal recupero di vecchi crediti, le tariffe sono tra le più basse d’Italia. Tra le misure in via di attuazione, la rescissione del contratto con Equitalia, in modo da recuperare le morosità in proprio con un aggio più basso rispetto alle attuali tariffe.

La strada percorsa da Abc potrebbe essere seguita anche da altri territori, i 5Stelle e il Pd stanno lavorando a due differenti bozze di legge regionale che dovrebbero accogliere entrambe le richieste dei comitati: la cessazione dei commissari, le fonti e le gestioni affidate ai territori, un fondo per ripubblicizzare il servizio. La precedente amministrazione campana, targata Stefano Caldoro, stava lavorando invece alla creazione di un Ambito territoriale unico da affidare a un solo gestore e, intanto, ha cercato di spostare le fonti nell’Ato3 Sarnese-Vesuviano, affidato al commissario Carlo Sarro. Parlamentare di Forza Italia la cui carriera era iniziata all’ombra di Nicola Cosentino, Sarro era stato dichiarato incompatibile dall’Autorità nazionale anticorruzione ma la regione lo ha lasciato in carica fino all’inchiesta Medea: secondo i pm le aziende legate al clan Zagaria si sarebbero aggiudicate appalti in somma urgenza, grazie alle coperture politiche assicurate da Tommaso Barbato e dallo stesso Sarro, per la rete idrica dell’Ato3 gestita dalla Gori spa. La richiesta di arresto per Sarro (che intanto si era dimesso da commissario) non ha retto la verifica del riesame ma i dubbi sugli appalti restano.

Dubbi sulla gestione della Gori li sollevano anche i 5Stelle. La spa è controllata dall’Acea di Caltagirone, in dieci anni ha accumulato un debito di quasi 283 milioni con la regione Campania per la fornitura e depurazione dell’acqua. Palazzo Santa Lucia gli ha abbonato 70 milioni e pattuito un rientro in 20 anni, i primi 10 senza interesse. La prima rata, pari a 4 milioni 800mila euro, scattava nel 2013. La Gori ha versato circa 3 milioni 600mila, lo stesso nel 2014, ma ha ricominciato a non pagare il corrente, così in due anni ha accumulato un nuovo debito di 92 milioni (66 per le forniture idriche e 26 per la depurazione nel biennio 2013-2014).

Il bilancio 2013 si è chiuso con un passivo di 414 milioni: «Con estrema tranquillità – spiega il parlamentare pentastellato Luigi Gallo – ha inserito a credito 209 milioni di fatture mai emesse che diventeranno conguagli per i cittadini. Il presidente della Gori (Amedeo Laboccetta di Forza Italia, ndr) ha mai pensato che i debiti della Gori siano indebitamente lievitati a causa di una mala amministrazione? la società nel 2013 con un personale di 700 unità, a fronte di 400 unità di Abc (società pubblica che serve una platea superiore a quella della Gori), non riesce a spendere meno di 80 milioni in servizi acquistati all’esterno, con 9 milioni per la manutenzione, 34 per emungimento, un milione per le consulenze, un milione per personale esterno e due milioni per servizi di analisi».

Il gruppo 5 Stelle in regione ha formalmente chiesto la messa in mora della Gori entro 60 giorni e, in assenza dei pagamenti, lo scioglimento della Spa, il cui 51% è in mano ai comuni dell’area.