Le Nazioni unite condannano con forza l’assassinio dei tre giovani israeliani rapiti da fondamentalisti islamici (oppure no) nella regione di Hebron, nei territori occupati da Israele. Ieri mattina è stato ritrovato il cadavere mutilato di un giovane palestinese di 17 anni che sarebbe stato rapito e poi ucciso da estremisti israeliani (oppure no).

Nelle ultime ore, giovani palestinesi che protestavano contro questo assassinio si sono scontrati con le «forze dell’ordine»a Gerusalemme, mentre in città gli attacchi razzisti contro i palestinesi si sono moltiplicati.

E pensare che, solo tre settimane, fa la situazione internazionale di Israele era più che problematica, e anche a livello interno il primo ministro Netanyahu sembrava seriamente delegittimato dai passi problematici che aveva compiuto nell’elezione, non molto importante, del nuovo presidente di Israele. La coalizione governativa si stava incrinando, mentre riprendevano terreno le forze moderate.

La propaganda israeliana non sembrava riuscire a convincere il mondo a dire no alla nuova coalizione di unità palestinese Fatah-Hamas. Anche in Israele si sentivano voci non sfavorevoli a questa unità, e in Occidente e negli Stati uniti il consenso al nuovo governo era in crescita.

Molti ritenevano – a ragione – che l’unità palestinese fosse un passo in una direzione positiva.
Il sequestro è stato un regalo incredibile fatto al governo israeliano. Ha messo immediatamente in moto tutto l’armamentario della propaganda, e ha dato il via a un duplice processo: da un lato, un’enorme ondata di repressione contro attivisti di Hamas in Cisgiordania, un grave colpo alla loro attività politica, sociale, culturale ed educativa. D’altra parte, una demonizzazione costante destinata non solo all’opinione pubblica di Israele ma anche a quella internazionale. Insomma, «gli arabi sono sempre gli stessi, i musulmani, la violenza…»; e dal momento che in Europa e negli Usa non sono molto meno razzisti che in Israele, funziona sempre!

Giova ripetere quel che già abbiamo scritto – purtroppo varie volte – in queste pagine. Lo stesso Che Guevara converrebbe sull’opportunità di leggere un po’ meglio la sua distinzione fra lotta armata e terrore. Il fallimentare sequestro in pochi minuti si è trasformato in uno spietato triplice omicidio. Tre ragazzi hanno pagato con la vita un fanatismo criminale che non solo è incapace di operare distinguo ed è del tutto privo di morale, ma che in più è politicamente idiota.

Sequestrati e sequestratori sono stati cercati per 18 giorni, ma in realtà era abbastanza chiaro che le vittime erano state uccise fin dall’inizio. Condanniamo in modo assoluto questo crimine ma raccomandiamo a tutti un po’ di equilibrio, se si vuole parlare in termini di etica. Il rapimento e l’omicidio si sono verificati poco dopo che l’opinione pubblica israeliana aveva iniziato a far domande molto pesanti circa la morte dei due giovani palestinesi ufficialmente avvenuta «nel corso di scontri con le forze israeliane», quando apparentemente essi non avevano preso parte agli incidenti, già conclusisi, e dunque erano stati semplicemente assassinati.

Per trovare i sequestratori–omicidi, le operazioni condotte dalle «forze dell’ordine» hanno provocato la morte di almeno dieci palestinesi. Il fatto che gli alti gradi dell’esercito abbiano ricordato ai soldati che noi siamo più morali eccetera, e che la popolazione palestinese non ha colpa, indica che effettivamente si è esagerato con gli abusi nel corso delle ricerche e che si è poi cercato di mettere un po’ di freno.

Hanno cominciato a cadere con maggiore frequenza missili nel sud di Israele, provenienti dalla Striscia di Gaza; li abbiamo avvertiti anche nella zona dell’università. Malgrado fonti militari molto serie abbiano sostenuto che Hamas ha cercato di frenare gli attacchi, imputabili piuttosto a piccoli gruppi fondamentalisti, tutto questo ha rafforzato la linea della propaganda, che giorno dopo giorno indicava il responsabile in Hamas e chiedeva al mondo di condannare «l’unità palestinese con un gruppo terrorista che vuole distruggere Israele».

Il razzismo di questi giorni è incredibile, ed è molto difficile trasmettere al lettore la sensazione di un veleno che si è insinuato in tutti i settori della società. Per fare un riassunto telegrafico: vendetta, forza, ucciderli, distruggere case per punire, costruire più colonie, aumentare la repressione, non parlare con gli alleati dei terroristi, perché «alla fin fine anche Abu Mazen li appoggia e li paga».

Da due giorni nel gabinetto della sicurezza statale israeliana sono in corso discussioni segrete; segrete, ma alcuni dei partecipanti fanno trapelare progetti estremi, che comprendono una nuova invasione di Gaza, diversi mezzi draconiani, un acuirsi della legislazione repressiva, più forza, più violenza.

Paradossalmente, il premier Netanyahu, che per 18 giorni ha allegramente cavalcato il «dagli al mostro» contro Hamas e l’Autorità nazionale palestinese, si vede adesso obbligato a schierarsi con l’ala moderata, a fare il moderatore. Di fronte all’alleanza fondamentalista e nazionalista che oggi domina e influenza l’opinione pubblica, i servizi segreti e l’esercito sembrano un’isola di moderazione – relativa – che fa presente la grande pericolosità della situazione attuale. Hanno cavalcato il mostro che ora può sfuggire loro di mano, per agire in modo incontrollato.

La terza Intifada? Ci sono tutti gli elementi di un’enorme deflagrazione, se gli estremisti che oggi dettano il ritmo – ministri, parlamentari, leader dei coloni e rabbini fondamentalisti – non vengono frenati e se gli incidenti a Gerusalemme e nei territori continuano e si aggravano.

Sarebbe la ricetta di una nuova esplosione che danneggerebbe entrambi i popoli.