Un’ondata di proteste. Bologna ha risposto così allo sgombero di Làbas, centro sociale amatissimo dagli abitanti del centro e capace di mettere assieme negli anni una serie di attività che hanno portato nell’ex caserma occupata dal 2012 migliaia e migliaia di persone. Le proteste e il clamore hanno spinto la giunta del sindaco Pd Merola a svelare in fretta e furia una soluzione a cui stava lavorando da tempo, e che – se attuata prima – avrebbe evitato lo sgombero di martedì scorso, con tanto di manganellate e attivisti trascinati via dalla celere.

Il sindaco ha detto di voler offrire al centro sociale uno spazio alternativo entro fine mese, l’assessore all’economia Lepore ha concretizzato poche ore dopo l’offerta: l’ex caserma Staveco, non troppo lontana dalla vecchia sede di Làbas e capace di contenere tutte le attività del collettivo che aveva anche creato un servizio nido e un dormitorio per senza casa, e ospitava ogni mercoledì un apprezzatissimo mercato contadino.

È bastato l’annuncio per fare esplodere la polemica all’interno dello stesso Pd. Il fuoco amico è arrivato dai renziani, che hanno stigmatizzato quel che giudicano un favoritismo nei confronti di un collettivo che ha occupato illegalmente per anni. «In una città giusta democratica e di sinistra gli spazi si assegnano con bandi trasparenti senza favoritismi e premiando chi rispetta leggi e regole», ha scritto ad esempio la consigliera comunale dem Santi Casali. Non la pensano così altri suoi colleghi di partito, che invece hanno accolto a braccia aperte la proposta della giunta. Altri ancora dicono che alla Staveco vedrebbero meglio  «un grande parco per bambini». Insomma, la maggioranza alle prese con la doppia questione occupazioni-legalità va subito in tilt, tra l’altro a meno di due mesi dal congresso che deciderà il futuro del Pd di Bologna.

Non ci saranno solo i fari dei renziani a scandagliare l’operato della giunta. La Lega Nord annuncia in caso di trasferimento del collettivo in una nuova sede un doppio esposto a Procura e Corte dei Conti. Contrari sono anche i centristi di Insieme Bologna: «Se Làbas vuole avere spazi faccia come tutte le associazioni ovvero segua le regole». Tradotto: partecipino ad un bando e poi si vedrà. Come se non bastasse anche alcune associazioni hanno manifestato un certo malessere. «Stiamo chiedendo da anni una sede – dicono ad esempio i genitori di Angsa Bologna, l’associazione delle famiglie con bimbi autistici – ma fino ad ora abbiamo avuto promesse non mantenute, proposte indecenti e patti disattesi. Dobbiamo occupare anche noi?». Per Merola se non gestita bene la questione Làbas ha tutte le potenzialità per trasformarsi in Vietnam politico, col rischio di scontentare tutti, comprese le migliaia di bolognesi che da un giorno all’altro si sono ritrovate orfane dell’amato centro sociale.

Nel frattempo gli attivisti del collettivo sgomberato hanno dato vita a un mercato contadino all’aperto, hanno indetto un’assemblea cittadina per fine mese e per il 9 settembre annunciano un corteo «per riaprire Làbas». Nel tentativo di disinnescare la manifestazione il sindaco ha convocato i militanti il 29 agosto e ha raccontato di essersi opposto per due anni a uno sgombero voluto non dal Comune ma da Procura e proprietà, e cioè Cassa depositi e prestiti. L’appuntamento del 29 non sarà disertato da Làbas, che però chiede  «fatti e scelte concrete e coraggiose», non solo annunci.

Martedì scorso a essere sgomberato è stato anche il centro sociale Crash. Gli attivisti promettono di rioccupare. Nel frattempo la loro legale Marina Prosperi attacca: «Il decreto di sequestro è confuso e dice che Crash è stato occupato nel 2015, quando invece il centro sociale esiste dal 2009 ed è stato celebrato anche un processo per quei fatti. Ne consegue che lo sgombero è stato eseguito forzando la realtà dei fatti storici e giuridici».