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Il professor John Dickie insegna Italian studies presso l’University College di Londra. È uno specialista dell’Italia riconosciuto a livello internazionale e i suoi libri sono stati tradotti in svariate lingue. Gli abbiamo chiesto una valutazione sugli eventi di ieri per i quali esprime subito «sgomento, sia a livello collettivo che personale, di studioso: lavoro in un dipartimento di lingue dove abbiamo il numero più alto di studenti dall’Ue. Per noi ci sono gravissime incertezze».

Non c’è stata una grave sottovalutazione dei possibili risultati durante la campagna?

Ci siamo fidati della City, che sembrava tranquilla. Ma si sono sbagliati pure loro. È un risultato in cui ci sono esigenze del tutto contraddittorie: da una parte ci sono i conservatori liberali che vorrebbero una Gran Bretagna aperta e libera e dall’altra parte il voto di una buona fetta di quelle che erano un tempo le roccaforti del laburismo: le zone deindustrializzate, che hanno interpretato il leave in senso opposto, cioè come modo per chiudersi, per fermare l’immigrazione e procurarsi maggiore accesso ai sussidi o forse anche solo vendicarsi. Perché c’è una metà di questo paese che non ha conosciuto i vantaggi della globalizzazione e dell’Ue.

Ma non è anche un voto concesso per beghe interne ai tories che attraverso l’errore tattico di Cameron sfascia due Unioni?

È vero. Ma anche Tony Blair ha fatto un errore tattico: quando fu eletto nel ’97 la prima volta, aveva la grande capacità di convincere proprio quell’elettorato laburista che ci ha mandato fuori dall’Europa. Voleva mettere la Gran Bretagna al centro dell’Europa e all’epoca gli si chiese se non voleva indire un referendum proprio per blindare questa proposta. Ebbene, scelse di non farlo. Indubbiamente questo è un voto popolare, e in quanto tale va rispettato. Dobbiamo guardare avanti.

Il paese è spaccato fra un ceto medio giovane globalizzato, prevalentemente londinese e nelle aree urbane, e il resto del paese di anziani e di una working class estromessi dalla narrativa dominante. 

Si è parlato di una frattura fra élite e popolo, me se fosse così avremmo un’élite del 48%: dunque non dobbiamo concedere troppo a questa retorica populista. Il paese è spaccato in due, ma i leader del leave hanno aizzato questo fenomeno dell’ostilità contro l’immigrazione, alimentato il mito del furto di posti di lavoro – economicamente un ragionamento del tutto analfabeta. Per loro è stato un gesto senza costi politici e infatti ora stanno facendo marcia indietro. Proprio quell’elettorato a cui si sono rivolti è un elettorato laburista. Con il nostro sistema uninominale conta la concentrazione territoriale del voto e dunque i tories euroscettici possono dimenticarsi tranquillamente di questa working class che si ritroverà beffata nuovamente, con esiti difficilmente prevedibili.

Il paese dall’assetto sociale più solido dell’occidente, mai sconfitto, mai rivoluzionato, mai investito da fascismi o marxismi che diventa il laboratorio sociale dell’instabilità europea?

Vediamo quanto dura questa crisi. Ma ce ne sono varie. Quella costituzionale, per la possibilità che la Scozia se ne vada e che alzi una frontiera con l’Inghilterra mai esistita. Stessa cosa con l’Irlanda del nord. Poi ce n’è una politica. I tories hanno una maggioranza di deputati a favore del remain e dovranno regolare questa difficilissima transizione con una maggioranza che non voleva il leave. Dunque i tories anche se sono avvantaggiati sono spaesati, mentre il Labour sta candendo a pezzi. Ha una voragine che lo separa proprio dalla propria vecchia base che ha votato leave. Ci sono stati sondaggi incredibili durante la campagna secondo cui il 50% dell’elettorato laburista credeva che il partito e Corbyn fossero per il leave. Credo sia dovuto a incompetenza politica, una situazione dalla quale è difficile riprendersi.

Ma entrambi i leader dei due maggiori partiti sono in fondo euroscettici. Lo è Cameron che viene da un partito che ha l’euroscetticismo nel proprio Dna e lo era anche il labour pre-Blair da cui discende Corbyn… chi ora vuole abbattere Corbyn non lo fa per allontanare da sé la responsabilità di questo scollamento dall’elettorato?

È vero. Questo allontanamento del Labour dalla propria base elettorale è andato crescendo nel tempo ed è di vecchia data. Ha lasciato i perdenti al di fuori della modernizzazione e non l’ha inventato Corbyn. Che ora sarà difficile da rimuovere dal suo posto, visto che ha la base dalla sua parte. Sarà interessante vedere come reagirà a questo shock una base che è molto concentrata a Londra e filo-Ue, se sarà in grado di scuotere la credibilità di Corbyn. Il problema dell’immigrazione è una soluzione immaginaria a problemi reali e ha catturato la fantasia dell’elettorato popolare del centro e del Nord. Le ironie si sovrappongono, perché il voto per il leave si è concentrato in zone dopotutto a bassa immigrazione mentre è il contrario per il remain, impostosi a Londra dove ce ne sono molti. Se Corbyn propone vecchie soluzioni anni Settanta che per carità hanno un aspetto di validità, protezione del lavoro e della spesa pubblica, questo elettorato non le accoglierà perché se avesse sentito un discorso più economico pro-Ue avrebbe votato a favore del remain. Per cui ora temo una deriva populista, vedo l’elettorato di Trump del futuro.