La sconfitta della classe operaia inglese raccontata attraverso la metafora del calcio. Antony Cartwright, nato nel Black Country inglese, ha descritto il declino delle città nate con le fabbriche siderurgiche in un bel romanzo Iron Towns, Città di Ferro. Ha scritto Heartland, e con Gian Luca Favetto Giorno perduto (pubblicati da 66thand2nd). Abbiamo incontrato Cartwright al Book Pride di Genova.

Perchè hai scelto la metafora del calcio per raccontare il mondo delle Iron Towns?

Il calcio è al centro sia della cultura operaia sia della cultura popolare contemporanea, perciò mi è sembrato importante scrivere di calcio, spesso ben rappresentato nei romanzi. Inoltre ho sempre giocato a calcio e ne sono stato spettatore, ha occupato un posto centrale nella mia vita. Ha ragione a dire che si tratta di una metafora. Senza dubbio la situazione critica del football Club Iron Town dice qualcosa sugli Annie Yards, le fabbriche abbandonate nel cuore della valle di Iron Town. Non è solo una metafora però. Mi ha fatto piacere scrivere una narrativa seria sul calcio e proprio, sul rapporto tra i giocatori e la folla e l’azione sul campo.

Il protagonista di Iron Towns, Liam Corwen, a 18 anni fa il suo esordio in nazionale, poi si perde. La sua parabola calcistica è quella della classe operaia?

Molto di Liam rappresenta la caduta in disgrazia della sua cultura, quella della classe operaia inglese e di come è crollata durante gli anni della Thatcher ed è stata tenuta ai margini negli anni di Blair e dopo. Si può dire lo stesso della sua ex moglie Dee Dee, la cui carriera musicale si è arenata insieme a quella di Liam. Quindi, le strade di questi personaggi rispecchiano quelle della cultura che rappresentano. Però sta al lettore decidere. Per me è importante che siano anche personaggi tra sé ben distinti.

Nel romanzo compare più volte Duncan Edwards, figlio della working class, che a 18 anni giocava nel Manchester United. Duncan è l’altra faccia di Liam Corwen? Come sostiene recentemente la biografia di James Leighton, consideriamo Duncan “il migliore”. Era di Dudley e in fondo racconto la sua storia nel romanzo. Senza dubbio la sua morte, avvenuta nell’incidente aereo di Monaco ( il Manchester rientrava da Belgrado dopo una partita contro la Stella Rossa per la Coppa Campioni nel 1958), ha avuto un grosso peso nell’esaltazione degli eventi della sua vita. E’ certo l’eroe archetipo della classe operaia. Quindi è certo che Liam aspira a questo. Penso che Liam desideri essere al massimo delle sue possibilità ( cosa che lui crede Edwards fosse). Liam quindi vive certamente delle difficoltà come tutti i mortali.

Perché sostieni che al pubblico hanno tolto il calcio?

L ’appartamento nel quale vivo, ora a Londra, così lontano dalle Midlands, con la mia famiglia è vicino al nuovo stadio Arsenal Emirati, il nostro balcone si affaccia sul vecchio stadio, o su ciò che ne rimane, con le gradinate est e ovest trasformate in alloggi e il vecchio campo in un giardino comune. Il nuovo stadio è bello in tutto, anche se non bello come le vecchie gradinate liberty del vecchio campo, e tuttavia è spesso completamente senz’anima. Sembra di essere seduti in un aeroporto o in un centro commerciale, elegante, anonimo, sterile. Penso che in molti stadi moderni, con il calcio reinventato come parte dell’industria dell’intrattenimento, sia molto difficile sentire un collegamento con quello che accade in campo, sentire che il calcio è qualcosa di più, di più forte della vita di tutti i giorni. E’ difficile, certamente, ero alla partita Arsenal-Liverpool la scorsa stagione, terminata 3 a 3, e l’entusiasmo del match creava un’atmosfera di eccitazione, ma penso che una volta fosse il contrario. Ritengo che fosse l’atmosfera dei tifosi ad essere trasmessa al campo. Ora siamo dei consumatori. Conosco un paio di persone che seguivano tutte le partie dell’Arsenal, ma ora le guardano al pub perché i prezzi dello stadio sono alti, e questo è un elemento in più. Non è una critica all’Arsenal, in misura diversa è vero per tutti i maggiori club inglesi.

Nel libro scrivi: “ Alla fine vengono tutti da città di ferro”. Il calcio è figlio delle città di ferro?

Esattamente. I veri proprietari del calcio erano gli operai delle fabbriche, i portuali, gli operai dei cantieri navali, i minatori che rendevano il calcio un gioco di grandi folle, e lo trasformavano in una celebrazione, in un rito, in uno stile di vita. E questo è vero in Italia, come in Inghilterra, Scozia, Germania, Argentina e in tutti i grandi paesi del calcio. Sono le folle che hanno maggiore importanza, e le folle sono sempre delle Iron Towns, cioè della classe operaia. La gente ci sarà sempre, non più come minatori, portuali, ma i loro figli. Il modo migliore per spiegarmi è che ci sono persone oggi che vanno a vedere la straordinaria squadra del Manchester City, e che una volta andavano a vedere squadre come Port Vale e Gillingham, quando la squadra è andata in serie C, e se ci fosse un fallimento dopo che i soldi sono finiti questi tifosi ci sarebbero ancora.

Ricorrerai ancora al calcio?

Mi interessa molto scrivere sulla nascita della cultura calcistica in Inghilterra dal 1880 al 1914, ma non sono sicuro della forma in cui scriverò, se narrativa o più direttamente non narrativa. Per me, il mio romanzo recente The Cut ( un romanzo sulla Brexit di prossima pubblicazione presso 66thand2nd ndr) sembra aver messo fine al ciclo di scrittura sull’abbrutimento della classe operaia, perciò sto lavorando su quello che viene dopo. Ma di certo ritornerò al calcio in un modo o nell’altro.

Per quale squadra tifa?

L’ex grande Aston Villa, come Liam Corwen, certamente. La storia moderna del Villa, da campione d’Europa (1982) oggi a metà classifica nel campionato inglese, e più tristemente sull’orlo di una crisi finanziaria, sembra assomigliare alle storie delle Iron Towns. Gli alti e bassi della squadra confrontati con la costanza dei tifosi è qualcosa a cui sono chiaramente interessato e penso che ciò derivi dal tifo per l’Aston Villa.