Se una rappresentazione scenica viene definita «concerto» non ci dovrebbero essere dubbi. Si tratta di un evento musicale. Però non è così semplice. La nuova versione di Lus, spettacolo che il Teatro delle Albe ha proposto per le prima volta nel corso degli anni ’90, prevede la voce recitante di Ermanna Montanari (la «primadonna» delle Albe) nel mezzo di un ricchissimo tessuto sonoro elaborato da Luigi Ceccarelli all’elettronica (dal vivo) e da Daniele Roccato al contrabbasso. Voce recitante? Anche qui la definizione è un azzardo: appartiene integralmente al vocabolario della musica e non a quello del teatro. E poi l’infernale/estremo/estatico monologo di Montanari sul testo in lingua romagnola di Nevio Spadoni è teatro o musica? La risposta sarà discussa ma la diamo lo stesso: è musica perché la sua autonomia di performance della recitazione si mantiene e si annulla nello stesso tempo nel procedere delle azioni sonore. Ne viene avvolto, ne determina a sua volta gli scarti, i passaggi imprevisti. Ma mette in comune il suo «specifico» con quello musicale dei due partner di Ermanna, che sono sul palco con lei nella sala del Teatro delle Passioni di Modena.

 

L’avvio è un «ostinato» in continuo crescendo di Roccato ripreso, modificato, trasformato dalle «macchine virtuose» di Ceccarelli. Musica dal cuore di tenebra che man mano diventa materica-passionale. Sarà questa la sua sembianza per tutto il tempo dello spettacolo. Roccato parte etereo e diviene denso, incalzante, come un presagio di lacerazioni e conflitti, Ceccarelli afferra al volo i suoni del contrabbasso (anch’essi amplificati e modificati tecnologicamente) e ne ricava alcune cortine di suoni drammaticissime, bagliori metallici, lampi gravidi di tragedia. A differenza delle performances improvvisate in duo, ormai un classico nel panorama musicale odierno, i suoni di Roccato e Ceccarelli si sommano, fanno massa. Questo, forse, riduce la spazializzazione che nella musica contemporanea è in genere tanto desiderata, ma permette all’insieme una fortissima concentrazione emozionale.

 

 

È speciale, adatta a una trance terrosa – e la musica di Ceccarelli e Roccato tace per pochi minuti – l’entrata di Montanari, la Belda del poemetto di Spadoni. Una veggente, una guaritrice, una strega, figlia vendicativa di quell’Armida che nella campagna romagnola di primo ‘900 fu disseppellita per ordine di un prete infame e ri-sepolta in terra sconsacrata perché «puttana». Vestitino bianco lacero macchiato di strisce rosse (è sangue vero della costumista Margherita Manzelli). Una piccola falce in mano, elemento scenico minimo un po’ ambiguo, a dire il vero, perché Belda è in grado di portare la morte, e infatti col suo maleficio provoca la fine straziante dell’orrido prete, ma è anche una ribelle contro l’ipocrisia e il perbenismoche chiede, certo inutilmente, al Dio-che-è-morto una possibile uscita nella luce, la Lus, un riscatto, una rinascita dei maledetti dal potere.

 

 

«Mi è diventato stretto questo vestito/mi è diventato stretto/e più passa il tempo/e più questa matassa si ingarbuglia/e allora viene quel giorno/che uno si stanca/si lega i lacci delle scarpe/e va/corre attraverso strade/stropicciate dalla nebbia/per cercare una luce/un frullo». Se non si è romagnoli da molte generazioni non si capisce quasi niente delle parole del poema. I sottotitoli in italiano provvedono. Ma questa lingua arcana, materia di un parlato, di un gridato, di un sussurrato/perso che dialoga con gli strumenti, acustici e sintetici che ne detta certe curvature, è la lingua-tipo della musica radicale, suona come una lingua fatta di fonemi, tali risultano all’ascolto i versi di Spadoni messi in musica in questo singolare «concerto» per tre interpreti orchestrati dal regista Marco Martinelli.

 

 

Ermanna Montanari è come un’eroina di Artaud, forse, ma è anche una Albert Ayler, una Peter Brötzmann, dall’urlo delle invettive al fremito inquieto lirico. Le meraviglie musicali sono tante. Quando, per esempio, i due musici (in senso stretto, Ermanna lo è d’elezione) escono fuori da un lungo episodio di caos demoniaco con un continuum modulante, soffuso, incantato.