I temi posti dall’iniziativa dello scorso lunedì del comitato per il No al futuro referendum confermativo della «de-forma» (termine coniato da Felice Besostri) costituzionale hanno toccato anche l’informazione. Stefano Rodotà è stato nettissimo. I media sono travolti dall’accentramento dei poteri e la spinta a farne i pifferai del governo è fortissima.

La recente (contro)riforma della Rai è un pezzo dello stesso spartito. Addio a ogni balance, e un bel calcio ai concetti chiave di indipendenza e di autonomia. Il passaggio alle forme dell’elettroregime, quello che controlla direttamente le agenzie di formazione dell’immaginario collettivo, è in corso. Poche voci resistono, un lavoro giornalistico sempre più precarizzato è soggetto al doppio condizionamento: della cattiva politica e dell’altrettanto cattivo mercato liberista. Senza pluralismo e rispetto integrale dell’articolo 21 della Costituzione l’assetto democratico viene compromesso. «Conoscere per deliberare», diceva Luigi Einaudi e ripete ogni giorno Radio radicale, preziosa emittente del partito che ha fatto della strategia referendaria un riferimento essenziale.

Del resto, nella società liquida e nella debolezza dei gruppi organizzati, nell’era digitale e nella connessione permanente in rete il ricorso a quel tipo di consultazione è una necessità. Infatti, accanto al referendum «confermativo» cui Renzi si affida come all’urlo della tifoseria, sono previsti i referendum abrogativi dell’Italicum, la normativa elettorale supermaggioritaria. E altri quesiti sono in preparazione, dalla scuola al Jobs Act.

Se news e approfondimenti sono omologati, come indicano le tabelle del Centro di ascolto radicale, con pochi spazi residuali per gli altri, il destino è scritto in anticipo.

L’Autorità per le garanzie delle comunicazioni dovrebbe intervenire subito, sulla scorta della sua stessa giurisprudenza, affinché la stessa fase preparatoria avvenga nel rispetto delle regole e delle opinioni in campo. Altrimenti, il passaggio alla repubblica peronista e plebiscitaria diviene un pericolo reale. Così pure la commissione parlamentare di vigilanza ha davanti a sé il compito di dare indirizzi chiari al servizio pubblico. Quest’ultimo ha obblighi maggiori e non può in alcun modo eludere il capitolo , innanzitutto dando voce paritaria a chi è per il sì e a chi è per il no. E la cospicua percentuale dei potenziali astenuti è certamente dovuta alla scarsità di un’informazione adeguata, di precisione.

Non si tratta, come vorrebbe la facile sloganistica di Renzi, di un taglio della casta o dei costi della politica (il Senato rimarrà, non viene sciolto, l’unica vera differenza è che non saranno i cittadini ad eleggerlo). È la conclusione della lunga stagione parlamentare, con l’azzoppamento della Carta fondamentale.

Finora il racconto approfondito ed argomentato sui termini della questione è rimasto sfumato o sullo sfondo, con poche eccezioni.

Il testo sulla Rai frettolosamente varato nei giorni natalizi non risultava fino a ieri ancora pubblicato dalla Gazzetta ufficiale. Nel frattempo, però, tra le associazioni e le personalità che hanno sottoscritto la lettera-appello al Presidente Mattarella sulle storture della legge si comincia a delineare l’opportunità di immaginare una rapida raccolta di firme, tesa ad inserire pure la Rai tra i nodi referendari. Quel testo va abrogato, prima che i danni si dispieghino fino in fondo.

Insomma, prima che il servizio pubblico diventi strutturalmente una mera costola di palazzo Chigi.