Se a farla conoscere in Italia è stata soprattutto la sua partecipazione al Sinodo dell’Amazzonia, in Ecuador Patricia Gualinga è una leader assai nota e rispettata. Dirigente kichwa del popolo di Sarayaku, ha lottato instancabilmente, per più di vent’anni, contro l’ingresso delle transnazionali petrolifere nel suo territorio e, per questo, è stata perseguitata, calunniata e minacciata di morte. Ma alla fine ha vinto lei, ottenendo nel 2012, alla guida di una delegazione di oltre 50 donne sarayaku, la condanna, da parte della Corte Interamericana per i diritti umani, dello stato ecuadoriano, colpevole di aver violato i diritti del suo popolo a una consultazione previa, libera e informata, alla proprietà comunitaria e all’identità culturale.

 

Patricia Gualinga

 

Alla vigilia delle elezioni presidenziali, il cui vincitore più probabile è, secondo i sondaggi, il correista Andrés Arauz, candidato della Unión por la Esperanza (UNES), Patricia Gualinga non risparmia critiche a Rafael Correa, rivelando tutto il disincanto dei popoli indigeni nei confronti dell’ex presidente.

In un probabile ballottaggio tra Arauz e il candidato della destra Guilllermo Lasso, chi appoggeresti?

Annullerei il voto, perché né Arauz né Lasso garantiscono il rispetto dei diritti dei popoli indigeni. E tanto la destra quanto questa pseudo-sinistra hanno promosso modelli economici basati sull’estrattivismo petrolifero e minerario, hanno violato diritti umani, hanno perseguitato e criminalizzato leader indigeni. Ma confido nel fatto che il nostro candidato, Yaku Pérez, possa arrivare al secondo turno.

Secondo uno studio del Celag, il 47% degli ecuadoriani ritiene che quella di Correa sia stata una buona amministazione. Quali accuse gli rivolgono i popoli indigeni?

Il governo Correa si è mostrato fortemente ostile nei confronti dei nostri popoli: ha dato il via a nuove concessioni petrolifere, ha permesso la criminalizzazione e l’arresto dei nostri dirigenti in lotta contro l’attività mineraria, ha militarizzato un’intera provincia, Morona Santiago, a vantaggio dell’impresa mineraria cinese Ecsa, ha perseguitato il popolo Sarayaku. Le nostre organizzazioni sono state spiate e controllate rigidamente. Si sapeva, per esempio, dove dormivo, come vivevo, chi incontravo. E, ancora, Correa ha promosso il progetto di urbanizzazione della foresta ecuadoriana costruendo al suo interno città di cemento – le cosiddette città del millennio – oggi abbandonate e in rovina. E ha fatto lo stesso con l’educazione, sopprimendo tante piccole scuole, anche tradizionali, nei nostri territori, per costruire costosissime unità educative che si sono rivelate totalmente fallimentari. La verità è che tutti i governi che si sono succeduti, di ogni segno politico, hanno disconosciuto e calpestato i nostri diritti e devastato i nostri territori.

 

Il candidato “correista” Andrés Arauz, della Unión por la Esperanza (Ap)

 

È vero, come sostiene Correa, che Yaku Pérez è vicino all’ambasciata Usa? E perché la sua candidatura è stata contestata dalla stessa Conaie, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador?

Non abbiamo alcuna prova che Yaku Pérez sia vicino agli Usa. Quello che sappiamo è che ha lottato contro le imprese minerarie, si è sempre speso a favore dell’acqua, è stato calunniato, perseguitato e arrestato dal governo Correa. Questo mi risulta, questo so. Ciò che ritengo deplorevole è che sia mancato un processo collettivo di definizione della sua candidatura, che non vi siano state per esempio elezioni primarie tra gli aspiranti candidati. Ma all’interno di Pachakutik (il braccio politico della Conaie, ndr) c’è chi voleva che la scelta avvenisse per consenso. Che invece non c’è stato. Ora, però, il nostro candidato è Yaku Pérez e lo appoggeremo.

Cosa chiederesti al prossimo governo?

Pensiamo che le trasformazioni avvengano dal basso, come indica anche la lotta del popolo Sarayaku. Ma in ogni caso al prossimo governo chiederei il rispetto dei diritti umani e dei diritti dei popoli indigeni, una maggiore giustizia sociale, la consapevolezza della necessità di un cambiamento profondo della matrice energetica nel paese. Chiediamo che si impedisca definitivamente qualsiasi attività petrolifera e mineraria nei territori indigeni e che si abbandoni l’obsoleto modello fossile, promuovendo da subito un cambiamento di paradigma. Chiediamo che vengano ascoltate le nostre proposte riguardo a un modo completamente diverso di relazionarsi con la natura e gli ecosistemi, che è quanto ora stanno dicendo anche gli scienziati. Ritengo che Yaku Pérez potrebbe realizzare tutto questo. Pensavamo potesse farlo Correa, ma non è andata come speravamo.

Cosa pensi che sia successo?

Con Alberto Acosta alla guida dell’Assemblea costituente, il governo Correa aveva suscitato profonde speranze. Nella Costituzione del 2008 eravamo riusciti a introdurre il riconoscimento dei diritti della natura, il buen vivir, lo stato plurinazionale. Ma è rimasto tutto lettera morta. E il governo si è convertito al modello estrattivista. Che è successo? Il potere può cambiare le persone, persino quelle che svolgono incarichi modesti. Probabilmente perché i loro principi non sono ben fondati. Anche Lenin Moreno all’inizio sembrava portare avanti un discorso diverso, ma poi il suo vero volto è emerso in pieno durante l’insurrezione nell’ottobre del 2019 contro le sue misure di austerity, repressa in una maniera inimmaginabile.

All’epoca sembrava che il governo Moreno fosse sul punto di cadere. Perché si è deciso di arrivare a un accordo?

Perché stavamo perdendo vite umane e potevamo perderne molte altre. Il caos era tremendo e il razzismo era esploso a livelli mai visti. In questo contesto penso che l’intervento delle Nazioni Unite sia stato importante, perché ha scongiurato un massacro o una guerra civile.