In un mondo contraddittorio in cui spinte libertarie convivono con irrigidimenti retrivi, in cui la sessualità è sempre più fluida ma donne, persone omosessuali e trans continuano a subire violenze di matrice sessista, la figura di Mario Mieli non smette di interpellare. Intellettuale e creativo che negli anni Settanta ha indagato con gioiosa radicalità il legame tra eros e struttura socioeconomica, morto suicida nel 1983 a quasi trentun’anni, Mieli è oggi al centro di rievocazioni, pubblicazioni e anche di un biopic.

Gli anni amari di Andrea Adriatico con il giovane Nicola Di Benedetto nella parte di Mieli uscirà il 12 marzo nelle sale italiane, «nel rispetto regole del decreto ministeriale», dopo l’anteprima autunnale alla Festa del Cinema di Roma. Di fronte a una figura così sfaccettata, dal pensiero complesso e in anticipo coi tempi, il rischio di feticizzazione è sempre dietro l’angolo ma l’eterogeneità di quanto emerso in questi ultimi anni in ambito editoriale e militante permette di avere a disposizione tutti gli elementi per storicizzare, approfondire e non banalizzare.

Determinante è stata in questo senso la pubblicazione del volume degli scritti politici La gaia critica (Marsilio, 2019) a cura di Massimo Prearo e Paola Mieli preceduta dalla riedizione di Elementi di critica omosessuale (Feltrinelli, 2017) a cura di Paola Mieli e Gianni Rossi Barilli. In tutta Italia si organizzano gruppi di studio, come quello promosso di recente a Torino dal Centro di Documentazione Glbtq Maurice dove gli Elementi sono stati letti parallelamente ad altri testi dello scrittore milanese e ad alcuni volumi di storia e critica della sessualità capaci di contestualizzare la militanza gay anni Settanta.

Il film di Adriatico ripercorre le tappe di una vita che Mieli stesso raccontò, in forma magica e romanzesca, nel suo libro postumo Il risveglio dei faraoni: il rapporto pieno di dissidi con i genitori conservatori (lui è Antonio Catania, lei Sandra Ceccarelli), il travestitismo, i viaggi tra Londra e Parigi, la militanza nel Gay Liberation Front e nel Fuori! da cui prese le distanze per creare, insieme ad altri, i C.O.M., Collettivi Omosessuali Milanesi, che si riunivano alla casa occupata di via Morigi e raccoglievano la componente rivoluzionaria del movimento. Ci sono gli amori e le amicizie (Corrado Levi, Piero Fassoni, Angelo Pezzana, Ivan Cattaneo, Milo De Angelis, Fernanda Pivano), c’è l’esperienza teatrale del collettivo «Nostra Signora dei Fiori» avviata con la messa in scena nel 1976 de La Traviata Norma ovvero: vaffanculo … ebbene sì che Franco Quadri, sulle pagine di Panorama, definì «il primo spettacolo italiano di carattere dichiaratamente omosessuale».

E proprio in questi giorni è prevista l’uscita in libreria della nuova edizione de La Traviata Norma per le giovani edizioni Asterisco di Milano che hanno in catalogo titoli gay ormai fuori commercio con prefazioni che li riattualizzano, per esempio il New Kamasutra di Corrado Levi e I movimenti omosessuali di liberazione di Mariasilvia Spolato.

Leggendaria opera buffa, La Traviata Norma è la satira di una società in cui l’omosessualità è norma e l’eterosessualità perversione che un po’ attrae e un po’ respinge.

Come si vede anche nel film di Adriatico, la pièce mette in scena un gruppo di diciassette omosessuali che si ritrova a teatro per assistere a uno spettacolo «eterosessuale» e nell’attesa si racconta, canta, formula illazioni su «chi lo è» (etero) e chi no, fino a coinvolgere il pubblico in una performance che interroga ciascuno sul proprio rapporto con i vincoli sociali e con l’ipocrisia dei discorsi tolleranti.

«Sapete – dice uno dei personaggi – tra i miei amici c’è anche un eterosessuale. Da quando me l’ha detto non è cambiato niente tra noi. Io lo rispetto come prima. In fondo sono fatti suoi: ognuno è libero di pensarla come vuole…», e un altro gli fa eco: «Anch’io ho avuto un amico eterosessuale: tanto una cara persona. Però quello era diverso… faceva politica, andava alle assemblee, alle riunioni, alle manifestazioni. Era un eterosessuale ma era serio, quasi normale».
Sotto accusa è l’omofobia ma anche quella sinistra che antepone la «lotta di classe» a ogni altra forma di liberazione relegando all’ambito «prepolitico» le rivendicazioni delle donne e delle persone omosessuali senza vedere le interconnessioni tra potere economico, simbolico e sessuale.

Se Mieli vive ancora nell’oggi è perché pur radicandosi negli anni Settanta per linguaggio e riferimenti storico-culturali, il suo pensiero e le sue pratiche di travestimento e performance quotidiana entrano in connessione con le istanze queer e transfemministe. Per Mieli, infatti, la sessualità è «unità molteplice di attitudine» che va liberata dai vincoli della divisione in ruoli.

Negli Elementi scriveva: «La liberazione dell’Eros e la realizzazione del comunismo passano necessariamente e gaiamente attraverso la (ri)conquista della transessualità e il superamento della eterosessualità quale oggi si presenta. La lotta per la (ri)conquista della vita è anche e soprattutto lotta per la liberazione del desiderio omoerotico».

La «transessualità» di Mieli già mette a tema la polivalenza del prefisso trans inteso come superamento della dicotomia maschile/femminile ed etero/omo. Per lui, lo sviluppo in senso rivoluzionario della dialettica tra i sessi e tra le tendenze sessuali avrebbe portato alla realizzazione di rapporti migliori tra uomini, tra donne e tra donne e uomini. Gli anni raccontati da Adriatico sono dunque «amari» per i travagli che Mieli affrontò in famiglia, con se stesso e all’interno di una sinistra fallocentrica. Sono gli anni amari della strategia della tensione, del naufragare delle speranze rivoluzionarie. Sono però anche anni straordinariamente fertili di elaborazione politica e culturale, che ci hanno lasciato in eredità un lavoro ancora da compiere.