Enorme è l’impatto della vittoria in Colombia di Gustavo Petro e della sua coalizione di sinistra, Pacto Histórico, per l’America a Sud del Rio Bravo. «Quello che verrà sarà un cambiamento vero» ha affermato il nuovo presidente eletto, riferendosi alla realtà di un paese, la Colombia, che durante quasi tutta la sua storia è stato dominato da un’oligarchia legata a doppio filo con gli Stati uniti –e che non sembra affatto disposta a mettere da parte di buon animo i propri privilegi.

LA VOLONTÀ DI CAMBIAMENTO espressa da Petro però riguarda anche gli equilibri politici del continente che Washington definisce Emisfero Occidentale e il cui Sud considera back yard (cortile dietro casa) o, più recentemente col presidente Joe Biden, giardino di fronte a casa. La Colombia è definita «alleato extra Nato» degli Stati uniti, dove il potente vicino del Nord ha dislocato almeno otto basi militari.

Meno di un mese fa il parlamentare democratico statunitense (il “falco”) Bob Menéndez aveva presentato un progetto che tende a codificare questa specie di apparentamento della Colombia alla Nato, per garantire la «sicurezza internazionale». Sempre prima delle elezioni, la generalessa Laura Richardson, comandante del Comando Sud degli Usa, si era recata a Bogotà per discutere con i vertici delle Forze armate colombiane la permanenza sia dell’alleanza strategia militare fra i due paesi, sia delle basi Usa in Colombia anche in caso di vittoria di Petro.

Il giorno dopo aver conquistato la presidenza, Petro ha avuto una conversazione telefonica di 20 minuti col segretario di Stato degli Usa, Antony Blinken, su temi come il processo di pace in Colombia, il cambio climatico e come la lotta al narcotraffico voluta da Washington si possa coniugare con l’obiettivo del neopresidente colombiano di diminuire la violenza nelle zone rurali del paese. Per quanto si sappia, nessun riferimento alle basi militari Usa, all’ingerenza della Dea, a un possibile ingresso nell’Alleanza atlantica. Temi che necessitano di tempo per essere affrontati.

Ma sia nella sua campagna elettorale, sia nelle prime dichiarazioni dopo la vittoria, Petro ha indicato la necessità di ridefinire i rapporti tra Nord e Sud dell’America. Rapporti caratterizzati da quasi un secolo dalla contrapposizione tra «panamericanismo» e «latinoamericanismo».

IN ALTRE PAROLE TRA le conseguenze della dottrina Monroe, che vuole il subcontinente a sud del Rio Bravo sotto il controllo imperiale degli Usa e il bolivarismo, ovvero la rivendicazione dell’unità storico-culturale-linguistica dei Paesi dell’America latina e la necessità di attuare un’integrazione politica e economica che permetta di far fronte ai rivali geopolitici, in primis gli Usa.

Si tratta di una contrapposizione che non si circoscrive solo alle concezioni e agli schieramenti geopolitici delle due Americhe, ma che contiene anche un aspetto identitario – di civilizzazione – cruciale, che la rende ancor più difficile da affrontare. Con «panamericansimo» si intende il voler risaltare l’appartenenza dell’America latina alla civilizzazione occidentale, da quasi un secolo identificata con le istituzioni democratico-liberiste degli Stati uniti, che riservano a questo paese il «destino manifesto» di esportarle. Mentre con «latinoamericanismo»si indica un movimento reattivo all’espansionismo degli Usa e si rivendica l’appartenenza della regione a un altro tutto culturale, criollo in termini spagnoli, una civilizzazione latinoamericana. (Anche se quest’ultima ha grandi problemi a ridefinirsi nei confronti dei popoli nativi, innescando crisi che coinvolgono quasi tutto il subcontinente).

Nella sua visita nei Caraibi e a Cuba, a metà maggio, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrados (conosciuto come Amlo) aveva fatto riferimento alla necessità che il movimento progressista latinoamericano esca da questa contrapposione.

AVEVA PROPOSTO CHE l’America a Sud del Rio Bravo inizi un processo di unificazione su modello dell’Ue e, in questa nuova dimensione instauri un diverso rapporto con gli Stati Uniti, su una base di collaborazione, mutuo riconoscimento e non di conflitto. Una delle richieste di Amlo per avviare un simile processo era che Washington decida di mettere in cantina – per non dire nella pattumiera – la Organizzazione degli Stati americani – Oea in spagnolo – braccio armato del «panamericanismo». In sintonia, Lula da Silva, presentando la sua candidatura per le prossime presidenziali di ottobre in Brasile assieme al centrista Gerardo Alckim, aveva proposto la creazione di una moneta unica per il subcontinente, come primo passo, appunto, verso nuovo «latinoamericanismo».

NEL SUO DISCORSO DOPO la vittoria elettorale Petro ha manifestato la sua intenzione di inserirsi in questa nuova prospettiva. Ha proposto che i Paesi dell’America latina si uniscano per trattare con Washington e porre le basi di una «transizione energetica» per affrontare i danni del cambio climatico e costruire «un’economia decarbonizzata, un’economia della vita per tutta l’America».

Per ragioni di politica interna, essenzialmente per cercare un ponte con i moderati dello schieramento repubblicano, il presidente Joe Biden, dopo una serie di tentennamenti, ha chiuso la porta in faccia alle proposte di Amlo, mantenendo l’esclusione dal Vertice delle Americhe di Los Angeles di Cuba, Venezuela e Nicaragua. E dunque ribadendo la validità della dottrina Monroe.
Se però a ottobre Lula dovesse vincere e ritornare alla presidenza del Brasile, dando un peso ben maggiore a un nuovo movimento progressista latinoamericano, meno ideologico e più pragmatico, sarà più difficile, e pericoloso, per l’amministrazione Biden perdere questa occasione storica.