La vittoria di Gabriel Boric alle presidenziali del Cile pone di fronte a due domande: a qualcuno interessa essere di sinistra? E se sì, cosa deve essere la sinistra? La vittoria è stata costruita grazie a una imponente capacità di mobilitazione popolare, focalizzata su un programma di sinistra e su scala nazionale. In Italia, la vittoria alla ultime amministrative si è realizzata senza questa capacità di mobilitazione, in assenza di un programma di sinistra e – per definizione – a un diverso livello di scala.

Pur con interessanti esperimenti rosso-verdi e in coalizione con nuove liste civiche, il centro-sinistra ha vinto con un programma a trazione centrista, grazie all’astensione dei ceti svantaggiati e delle periferie. È del tutto improbabile che questa dinamica possa riprodursi alle prossime elezioni politiche, dove i leader delle destre – e non la loro inconsistente classe dirigente locale – saranno in primo piano a urlare «prima gli italiani» e «giù le mani dalle nostre tasche».

Crogiolarsi sulle vittorie nelle città, poi, è miope: i governi locali non influenzano le grandi politiche di sistema di cui il paese ha enorme necessità, come fisco, scuola, territorio, mezzogiorno, infrastrutture, ambiente, innovazione, welfare. Le intenzioni di voto a livello nazionale lasciano, del resto, davvero poche speranze. Il sondaggio di Pagnoncelli pubblicato il 24/12 dal Corriere della Sera è impietoso: astensionisti e indecisi si attestano al 39,5% e una ipotetica coalizione di centro-destra con Lega, FdI e FI arriverebbe al 47,6% contro il 31,2% del centro-sinistra, che salirebbe al 40,1% con una alleanza giallorossa (senza Italia Viva). Una poco probabile (e auspicabile) coalizione che andasse da Sinistra italiana ad Azione registrerebbe un risicato pareggio con il centrodestra.

Numeri, questi ultimi, che non considerano gli effetti sottrattivi generati da un campo troppo largo, dove un elettore di Sinistra Italiana farebbe molta fatica a votare una coalizione che includesse Azione, e viceversa. In ogni caso, la forbice è davvero troppo ampia per poter essere chiusa senza che null’altro cambi. Il sostegno del PD a Draghi Presidente della Repubblica può essere letto in questo quadro: la boa a cui aggrapparsi quando lo tsunami delle elezioni politiche porterà al governo le destre.

Se questo è il quadro di sfondo, ci sono due opzioni. La pia illusione che la dinamica delle amministrative si riprodurrà a livello nazionale, oppure recuperare a sinistra parte di quel 40% di indecisi e astenuti, composto perlopiù da classe operaia disillusa, ceto medio-basso, disoccupati, poveri, meno istruiti, persone che vivono in centri abitati più piccoli rispetto alle grandi città, o nelle aree periferiche di queste, al sud rispetto al centro-nord e più giovani.

Persone che di fronte a un programma centrista preferirebbero l’astensione – come alle ultime amministrative – o il voto a destra. A quali condizioni, però, è possibile recuperare a sinistra l’astensionismo? Una prima risposta viene da una ricerca di Jacobin-YouGov «Commonsense Solidarity. How a Working-Class Coalition can be Built, and Maintained», che ha esaminato il comportamento di voto della classe operaia negli Stati Uniti. La ricerca mostra che gli elettori della classe operaia preferiscono i candidati progressisti che si focalizzano su questioni economiche di base e che le inquadrano in termini universalistici: lavoro, redditi, fiscalità e ricchezza. Contano cioè le basi materiali della vita economica, quelle che il centrosinistra ha troppo a lungo dimenticato.

Occorre, poi, indicare con chiarezza un avversario concreto, chiarendo contro chi si fa politica all’insegna del conflitto regolato. Le questioni identitarie e i diritti civili, inoltre, vanno sempre collegate a quadri più generali e mai giocate come carte jolly. Infine, la provenienza di classe dei candidati fa la differenza: gli elettori della classe operaia preferiscono candidati della classe operaia. Per questo, un partito che ha smesso di cooptare la propria classe dirigente tra gli strati medio-bassi della popolazione allontana sempre più il bacino degli indecisi/astenuti dal voto a sinistra.

Una seconda indicazione proviene proprio dalla vittoria di Gabriel Boric. La vittoria è stata costruita non solo attraverso il giusto mix di messaggi, ma soprattutto andando oltre la semplice mobilitazione individualistica a favore di un raccordo tra movimenti, corpi intermedi, associazioni e offerta politica, in chiave ideologica e pedagogica. Punto, questo, cruciale perché in quel 40% di astenuti e indecisi ci sono sì pulsioni di critica all’esistente, magari anche egualitarie e genericamente affini alla tradizione di sinistra, ma che sono spesso mischiate a concetti confusi, se non controversi.

Situazione, questa, che è il lascito del lungo addio al ruolo svolto dalle ideologie, dalle avanguardie politico-intellettuali e dal legame tra partiti e società, tutti elementi che hanno segnato la vittoria di Gabriel Boric in Cile.