L’archivio come luogo di memoria attiva, custode di storie da confrontare, elaborare, magari anche contestare con la consapevolezza che per ogni verità ce ne sono altrettante sotterranee e ambigue che vale sempre la pena riportare alla luce. In quest’ottica il lavoro dell’archivista non è così lontano da quello dell’archeologo. Il tema è sempre stimolante, tanto più quando le arti visive si manifestano come possibili complici nella sua declinazione critica e creativa, come per la XII edizione di Fotografia Europea (fino al 9 luglio).

Curata dal comitato scientifico composto dal trio Dufour, Grazioli, Guadagnini, quest’edizione della kermesse di Reggio Emilia conferma la sua vocazione internazionale presentando all’interno del macro tema Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro, la mostra Breve storia della fotografia sudafricana (a cura di Rory Bester, Thato Mogotsi e Rita Potenza) concepita per i Chiostri di San Pietro. L’occasione è anche il 40/mo anniversario del Patto di solidarietà tra Reggio Emilia e l’African National Congress (26 giugno 1977), suggellata da una serie di documenti e pubblicazioni provenienti da biblioteche e archivi reggiani, come l’Archivio Soncini-Ganapini presso la Biblioteca Panizzi e il Polo Archivistico Comunale, il cui contenuto si confronta con le fotografie esposte.

Storico dell’arte, Rory Bester è stato co-curatore con Okwui Enwezor della mostra Rise and Fall of Apartheid: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life (esposta nel 2013 anche al Pac di Milano, dopo l’Icp di New York), punto di partenza per questo nuovo progetto che attraverso una selezione di cento fotografie provenienti da archivi, musei e collezioni fotografiche (tra cui Indipendent Media Archive, Smithsonian Institution, Museum Africa) introduce alla complessità della realtà sudafricana nel periodo che va dalla fine della grande guerra ai giorni nostri. «Abbiamo provato a immaginare la fotografia come un evidenziatore momentaneo, piuttosto che qualcosa di permanente, per tornare a capire la relazione tra la storia e la fotografia del paese», ha spiegato Bester. Sono i piccoli eventi quotidiani, quindi, a dare forma al racconto. Una considerazione che motiva anche la scelta curatoriale di affidare ad immagini spesso anonime la stessa forza comunicativa di immagini iconiche, ritrovandone le stesse potenzialità.

 

pezzosudafricaLolo Veleko, Sibu, 2007 (Courtesy the Artist)
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«Dipingersi la faccia di nero, ad esempio, è un’idea molto politica», ha continuato poi Bester, soffermandosi sulla ristampa di un positivo del 1938 in cui un sacerdote cristiano posa per le celebrazioni del Great Trek, l’avvenimento che portò alla costituzione di repubbliche boere, accanto a due bianchi mascherati da guerrieri Zulu «Una foto così ci rimanda alla fine della mostra con l’autoritratto di Pieter Hugo che si dipinge il volto, o a quello di Zanele Muholi: entrambi parlano di resistenza e identità. È forte l’immagine di Zanele nel raffigurarsi come minatore con la sua pelle nera dipinta di nero. I bianchi non volevano persone nere nelle celebrazioni, così nella foto d’epoca vediamo due bianchi che si erano truccati per creare l’illusione dell’uomo nero».

La maggior parte delle fotografie sono d’archivio e ristampate in formati diversi: il bianco e nero, da sempre usato in ambito fotogiornalistico in chiave di denuncia – soprattutto in Sudafrica nella lotta all’apartheid – è predominante sul colore, appannaggio di una comunicazione edulcorante.
Scatti anonimi si alternano ad altri di autori noti, dai grandi maestri David Goldblatt e Santu Mofokeng, Eli Weinberg, Peter Magubane, Jürgen Schadeberg (manca Roger Ballen che sarà presente nella prossima edizione della mostra, concepita come work in progress), ai più giovani Jodi Bieber, Mikhael Subotzky, Guy Tillim, Cedric Nunn, Nontsikelelo Veleko, Andile Buka, Kudzanai Chiurai.

Una lettura trasversale è quella dell’attivismo e della resistenza nella quotidianità, mettendo in luce momenti di grande tensione emotiva, come lo scatto di Schadeberg che ritrae Rahima Moosa, Lilian Ngoyi, Helen Joseph e Sophia Williams in marcia verso gli Union Buildings, a Pretoria il 9 agosto 1956. La manifestazione, organizzata dalla Federation of South African Women, coinvolse ventimila donne sudafricane contro le leggi sul lasciapassare. Un gesto di grande forza e coraggio all’interno di uno scenario politico maschile. In una foto di Magubane del ’77 c’è Winnie Mandela esiliata dal governo apartheid nel villaggio polveroso di Brandfort, mentre vediamo suo marito Nelson allenarsi a boxe con il campione Jerry Moloi per allentare la tensione durante il processo del Treason Trial (1957).

La folla è un altro elemento ricorrente: durante i funerali, che divennero presto occasione di riunioni politiche ufficialmente bandite (Magubane inquadra 5 milioni di persone giunte per i funerali delle vittime del massacro di Sharpeville il 21 marzo 1960, quando la polizia aprì il fuoco sulla manifestazione pacifica), così come durante i concerti. Molte band si esibirono in Sudafrica per combattere l’apartheid, tra loro gli Staples Singer che durante il tour del ’76 suonarono in uno dei pochi luoghi pubblici in cui non c’era segregazione: il Colosseum Theatre in Commissioner Street a Johannesburg. Immagini che restituiscono un’idea della complessità della storia, catturando anche nell’attimo una perfezione assoluta di qualità estetica, come l’uomo di spalle circondato dalla steppa di GaMogopa che s’incammina verso il corteo per il funerale. In questa immagine di Santu Mofokeng – Chief More’s Funeral, GaMogopa (1989) – silenzio e azione descrivono un momento che va oltre il limite del tempo.

 

SCHEDA

fierarteCAPETOWNSUDAFRICA

 

A febbraio 2018 (dal16 al18), si terrà la seconda edizione della Cape Town Art Fair, il cui primo exploit sudafricano, lo scorso febbraio, ha riscosso un gran successo, sia per visite che per il giro di affari (il 65% dei compratori ha acquistato per la prima volta dai 79 dealers presenti). Il target futuro è poter contare su vendite per 96 milioni di rand e almeno 90 espositori. Se la sezione principale della Fiera 2017 raccoglieva le migliori gallerie sudafricane, del continente (da 99 Loop di Cape Town alla Hazard Gallery di Johannesburg, dalla Addis Fine Arts di Addis Abeba, fino a First Floor Gallery dello Zimbabwe), il 2018 scommette sulla nuova sezione «Solo Projects» e sul contributo delle artiste alla scena politica e culturale. Il focus sarà sulle nuove gallerie, i talenti emergenti dei vari paesi africani e, appunto, le produzioni delle artiste dall’Africa e dalla diaspora.