Le giornate passano lente sulle poltrone all’ingresso degli alberghi o sui tavolini all’aperto, ché quest’anno a San Benedetto l’autunno è particolarmente mite e domenica scorsa qualcuno si è addirittura tuffato nello specchio più verde che blu dell’Adriatico. Gli sfollati dell’interno delle Marche e del Lazio vivono qui ormai da oltre due mesi. Sono più settecento – settemila in tutta la regione -, tutti sistemati nei vari hotel della Riviera delle Palme. Il cambio di panorama rispetto alla vita di prima è evidente: dalle montagne al mare, dalla campagna alla spiaggia, dai centri storici pittoreschi scolpiti nella roccia alla novecentesca pista ciclabile del lungomare.

«Uno pensa che vivere in albergo sia una pacchia, invece alla lunga ci si annoia un po’», spiega il signor Mariano di Accumoli, alloggiato insieme a tutti (o quasi) gli altri suoi compaesani all’Hotel Relax. Gli fa eco Domenico: «Be’, la noia è sempre meglio di quello che abbiamo passato».

Il terremoto di domenica scorsa, in verità, si è sentito in maniera potente anche sulla costa, con qualche calcinaccio caduto in strada e qualche crepa che si è aperta nei palazzi, tutti agibili ad ogni buon conto. Per gli sfollati è stato quasi come ricadere in un incubo già vissuto la notte di mercoledì 24 agosto. Quasi, perché quella è stata la fine del mondo mentre quest’ultima – almeno per loro – una sveglia di prima mattina. Dalla strada, comunque, si potevano sentire distintamente le urla di terrore mentre la terra tremava, durante quella che è stata la scossa più potente registrata in Italia dal 1980. Molti hanno chiesto di poter cambiare alloggio: dai piani alti a quelli più bassi, perché non si sa mai.

Ogni tanto qualcuno parte e torna a casa, tra i monti, per cercare di riprendere qualcosa: vestiti, beni di prima necessità, oggetti. Al ritorno gli altri chiedono immagini della propria abitazione, per sapere almeno se è rimasta in piedi. E allora si formano capannelli intorno ai cellulari e ai tablet: le macerie aumentano, le case che ad agosto erano state soltanto lesionate, dopo gli ultimi eventi sono venute giù anche loro. Un disastro. «Pensavamo di andare verso la normalità, e invece siamo tornati al 24 agosto», dice una donna. Qui non si parla che di terremoto. Sugli schermi delle tivvù scorrono le immagini dei canali all news, perenemmente collegati dall’Appennino.

All’Hotel Progresso ci vivono una cinquantina di persone arrivate da Accumoli, Amatrice e, recentemente, anche da Camerino. «La paura è ancora tanta – spiega il titolare Giorgio Mancini -, c’è gente che non vuole dormire nelle camere e allora si sistema sui divani dell’atrio al piano terra, o addirittura va in macchina».

La zona montana del Piceno è ormai disabitata, resistono soltanto pochissimi allevatori che si ostinano a dormire nelle roulotte per non abbandonare il bestiame. Stessa cosa nel Lazio, dove solo ad Amatrice si prova a mantenere una parvenza di normalità, anche se la terra continua a muoversi e il terrore non acenna a diminuire.

Le Marche sono in ginocchio. Secondo i dati della Regione, solo nel maceratese a dormire fuori di casa sono in 29.364, di questi 9.958 hanno trovato posto in tenda o nelle palestre, mentre 3.358 hanno provveduto da sé a trovare un tetto e in 11.682 sono finiti da parenti e amici. Le zone rosse censite sono 175, con 25 municpi e 22 scuole inagibili. Le aziende lesionate sono 506, le stalle 146.

L’attaccamento ai propri luoghi è un sentimento forte, ma non tanto quanto la paura di quello che chiamano «il mostro», cioè il terremoto. Da quelle parti tutto è zona rossa, i sindaci hanno firmato blocchi di ordinanze di sgombero, gli (ex) abitanti sono andati a riempire altri alberghi sulla costa, in attesa delle abitazioni provvisorie. Sopratutto in attesa che la terra si plachi.