Nonostante il mondo editoriale italico sia sempre più occupato da grandi concentrazioni, e nonostante le cime delle classifiche di vendita dei libri siano ad uso di personaggi che si dividono fra spettacolo e cultura, come un tempo le mani delle donne di campagna si dividevano fra terra, mestieri di casa e bachicoltura, si presentano di tanto in tanto autori e/o casi editoriali che sfuggono a questa particolare forza di gravità.

Così è avvenuto per il valdostano Claudio Morandini, classe 1960, già autore di diversi romanzi e racconti, ma manifestatosi compiutamente con uno dei nostri più recenti gioielli narrativi: Neve, cane, piede, pubblicato a Roma da Exòrma.

Il protagonista della storia, un appartatissimo e coriaceo Adelmo Farandola, abita il suo piccolo spazio naturale, compresso fra le case di un villaggio di montagna e una tana-eremo dove sopporta soltanto la vicinanza di un cane a cui non disdegna, inizialmente, di rifilare qualche pestone. L’arrivo delle nevi dell’inverno e la morte di un guardacaccia sempre più invadente innervano le seguenti pagine di una storia essenziale a cui è difficile non affezionarsi.

Il romanzo raffigura la vita di una certa Italia ma più in generale di una certa Europa abbarbicata alla montagna, già visitata, ad esempio, nelle opere di Jean Giono, nella letteratura svizzera e, nondimeno, affine al Tönle di Mario Rigoni Stern o a certi figure sbercianti di Mauro Corona. La scrittura è precisa, chirurgica, non ha timore di farci sentire anche il marcio delle stanze, dei corpi, del decadimento della vita. Il romanzo è stato adottato da molte librerie ed è entrato nella top ten dei libri più venduti, non una cosa da poco. Nel frattempo è stato tradotto e pubblicato con successo in Francia, Cile e Turchia.

L’opera successiva si intitola Pietre, medesimo editore, e rientra in una famiglia immaginifica che un tempo si sarebbe chiamata «realismo magico», come lo etichettò Massimo Bontempelli in ambito pittorico, in verità un’impronta che sfiata spesso nelle pagine di coloro che scrivono di ambienti a diretto e aspro contatto con gli elementi naturali. Spiriti che abitano le case, alberi che prendono vita secondo una meccanica animale, streghe e altre figure della cultura popolare venata di superstizione e spavento. Un curioso miscuglio di iper-realismo nel descrivere luoghi, interni e volti, e una inclinazione al fantasioso, al paradossale, al surreale.

Così Morandini si diverte a tratteggiare i toni e i caratteri di una popolazione diffusa in due località alpine dove per quattro decenni compaiono a ripetizione sassi e pietre, occupando i più diversi spazi e accendendo curiosità, stupefazione e blanda sopportazione, d’altronde questa è la «montagna debole», come ci informano i parlanti, «basta uscire o affacciarsi alla finestra per capire che siamo circondati dalle pietre». Un autore autentico di cui sarà interessante seguire gli sviluppi