Una droga miracolosa riequilibra gli stati d’animo e genera continua eccitazione sessuale: queste le caratteristiche della sostanza che viene sintetizzata nel laboratorio dove lavora il protagonista del romanzo di Juán Cárdenas, Ornamento (traduzione di Chiara Muzzi, Sur, pp. 135, € 15,00).
In un luogo investito da un lieve grado di rappresentazione distopica, che inizialmente sembra potersi collocare in un punto indefinibile del mondo globalizzato, ma che progressivamente assume tratti più spiccatamente latinoamericani, si muovono i personaggi del romanzo. Quattro donne fanno da cavie, in un laboratorio situato in una città che ha tratti surreali, eccentrici e tuttavia di poco si discosta dalla nostra percezione della metropoli reale: sperimentano un nuovo farmaco, che promette di risolvere il male di vivere.

Un farmaco intelligente
La droga dà alle donne che lo assumono (sugli uomini il farmaco non ha effetto) ciò di cui hanno bisogno, è una sostanza interattiva che sembra potersi modificare a secondo dell’organismo con il quale entra in relazione: «È una droga pericolosa perché ti dà quello che ti serve, sempre, una droga intelligente che soddisfa le necessità e i desideri. Accontenta tutti. E non ha nessun effetto collaterale, neanche il mal di testa, niente».

Per formazione culturale e in virtù del rapporto che instaura con il medico protagonista, una delle donne risalta sulle altre, la numero 4. Nei suoi deliranti sproloqui, che seguono l’assunzione del farmaco, è racchiusa la sostanza ultima del libro: i processi mentali che vi si esplicitano nella loro deformazione, si attorcigliano come serpenti sulle gambe del lettore e non gli lasciano scampo. Ma in quel delirio si nasconde una lucidità impietosa, capace di fotografare all’istante la perversione sistemica che coinvolge ogni piano dell’esistenza: dalla patologia mentale alle assurde dinamiche del mercato dell’arte, dalla chirurgia plastica all’orgasmo indotto farmacologicamente, dalla violenza subita in ambito familiare, per via di una madre annichilita e dispotica, alla pratica sessuale disinibita e svuotata di ogni vera interazione umana.

La feroce critica che soggiace all’intera costruzione narrativa di Ornamento verte sull’assurda e diffusissima pretesa dell’uomo contemporaneo di trovare dei rimedi tecnico scientifici ai suoi eterni tormenti: vuole arrestare la rappresentazione del tempo sul viso con il bisturi del chirurgo; vuole esimersi dal male di vivere con un medicinale che garantisca benessere e godimento sessuale. Quasi imperdonabile, una tale immaturità esistenziale sembra farsi beffa della storia, dei patimenti e delle tempeste attraversate negli ultimi secoli, pretendendo di risolvere tutto asetticamente, ignorando quel che la vita propone.

La piega voluttuosa che il racconto sembra assumere dopo le dimissioni della numero 4 dal laboratorio, restituisce processi di quotidiana defibrillazione dalla noia attraverso una pratica sessuale che, tuttavia in poco tempo diventa monotona e svilente, senza lasciar trapelare alcuna carica erotica.

L’anamorfosi dei discorsi della numero 4 si scioglierà, verso la fine del romanzo, in una decifrabile confessione, sempre sintatticamente delirante, tuttavia, che rivela annullamento e recupero di un misterioso equilibrio perduto. Un equilibrio psicotico e perverso che sfocia in un atto delittuoso, nella distruzione dell’ornamento, nella fine dell’illusione e delle reti protettive e nella decostruzione della geometria dei ritocchi; tutto in funzione del compimento dell’opera d’arte come azione, evento, che nasce si consuma e muore: un atto estremo che ha senso nel suo svolgimento, e che lascia solo il «fossile vivente dell’azione». Si insinua nella storia una scintilla d’odio, abbastanza luminosa da diffondersi sulla grottesca concezione delle donne e della loro posticcia collocazione in un sistema sociale profondamente misogino, dove agiscono i fantasmi di un’educazione oltraggiosa, in un complesso vortice di autolesionistiche perversioni codificate.

Tra l’Io e la vita
Una immagine più delle altre si espande su ogni campo dell’esistenza: un’anziana vagina rasata, levigata, epurata da ogni difetto umano, emblema della perfezione senza tempo che annichilisce la vita. Costruita, protetta, trasmessa, questa perfezione è una facciata luccicante che nasconde le deformazioni del benessere, la vanità eretta a valore in un sistema che si sgretola nonostante tutto, nonostante i ritocchi, nonostante le sue assurde architetture, in un narco-barocco vorticoso e decadente.

Ciò che rende interessante questo romanzo di Cárdenas è una incrinatura nel verosimile, niente di più, perché ciò che viene descritto ci è così dolorosamente familiare da non consentire alcun effetto di straniamento. Sia il personaggio dello scienziato, sia la sperimentazione del farmaco su cavie umane sono elementi che appartengono a quella importante tradizione che rimanda al fantastico latinoamericano, e più specificamente rioplatense, nelle opere di scrittori come Lugones, Holmberg, Borges, Bioy Casares e tanti altri.

Entropia dei desideri
Ma nel romanzo di Cardenas c’è qualcosa di più: dietro alla plastificazione della vita, alla reificazione dell’essere umano e di ogni suo slancio, si avverte il tentativo estremo di sottrarsi a ogni confronto, a ogni spinta antagonista rispetto all’esistenza: proprio la centralità di questi temi avvicina il romanzo anche alla letteratura dello «iato tra l’io e la vita» che trova, tra gli altri, in Nietzsche, Musil, Bourget, Kafka, Canetti e forse anche nel Melville di Bartleby lo scrivano e nella sua poetica del diniego assoluto, i principali fautori. Così, in Ornamento di Cárdenas, la tendenza all’attesa esasperata e nevrotica di una soluzione sintetica alle inquietudini dell’essere umano si traduce in un accumulo insensato e irrisolvibile di infelicità: un male di vivere indotto e proprio per questo asfissiante come un sacchetto di plastica premuto sul viso. Anche l’erotismo si spegne mentre si allontana dalla sua essenza relazionale per rinchiudersi in un’autoassoluzione che svilisce il coraggio, moltiplica le ansie e sa di rimpianto, di oscura, impenetrabile, perversa disillusione. Poiché accetta la resa, pur essendo per natura portatrice di vita, la donna descritta da Cárdenas si fa emblema di un’isterica entropia dei desideri, nella quale annegare ogni possibile debolezza, sperando che così sparisca il dolore.