Il dato di partenza del nuovo volume del filosofo Pietro Montani – Tecnologie della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva, Raffaello Cortina, pp. 104, euro 12,50 – ha una consistenza difficilmente aggirabile: mai come oggi l’uso e la produzione delle immagini è stato tanto diffuso; al punto che le esperienze di montaggio e rimontaggio potrebbero dirsi pressoché integralmente, e almeno virtualmente, «socializzate». Ma di che tipo di esperienza si tratta e, soprattutto, a cosa essa appare destinata? La risposta di Montani è tutt’altro che generica: di tale esperienza si può dare un’interpretazione, che è poi una pratica, «elaborativa». Quest’ultima dipende dall’immaginazione e dal suo rapporto «immediato» con le tecniche (vale a dire con i media). Perciò nel libro si accampa centrale la dimensione interattiva dell’immaginazione umana: laddove il «naturalismo» assoluto delle qualità e delle prestazioni di quest’ultima – la sua pertinenza al sensibile – si sposa al massimo dell’artificialismo; tra le sue prestazioni più proprie vi è infatti quella di «esternalizzarsi» in speciali protesi tecniche: di esserne indirizzata almeno tanto quanto è essa a indirizzarle.

Specificità e tecnicità, come un’ascissa e un’ordinata, disegnano il diagramma dell’immaginazione interattiva. Su questo terreno si gioca la possibilità di ricomporre schematicamente intelletto e immaginazione. Se la realtà è oggi per definizione «aumentata» è in essa che sarà possibile volgere la sinergia simbolico-percettiva tipica della nostra forma di vita sotto il segno della reciprocità. Montaggio è il nome di quello schema capace di «incarnare» questa sinergia: l’abilità e la possibilità di comporre il simultaneo al sequenziale e di allacciare l’iconico al discorsivo.

In un rapporto con le immagini sideralmente lontano dalle litanie sull’eccesso di immaginario o dalle geremiadi sulle nequizie dell’«utenza» (sempre inderogabilmente associata alla passività), Montani finisce per schizzare i lineamenti di una politica. L’esercizio che conduce dall’insignificanza e dalla proliferazione alla leggibilità e alla salienza è dunque niente meno che un’operazione di politicizzazione dell’immagine (anche, ma forse soprattutto, della più banale e decidua). Strategie molteplici di «innalzamento del livello elaborativo delle pratiche già in uso» forniscono la contingente bussola per afferrare le potenzialità a dispetto di timori e moralismi. Non solo: è in una pratica e un’esperienza tanto venerabile come quella che continuiamo a chiamare «arte» che sarà possibile riconoscere quella «tecnica» capace di assolvere un ufficio tanto delicato.

Una percezione indeterminata

In una reinterpretazione vertiginosa e rigorosissima della Terza Critica kantiana, mediata attraverso la lezione di Emilio Garroni, il rapporto tra sensibilità, linguaggio e immaginazione ha occasione di farsi più nitido: se solo la sensibilità umana è genuina aisthesis ciò è perché essa è una forma sofisticata – nel medio tra indeterminazione della percezione e determinatezza del significato – di rendere pertinenti i dati dell’esperienza e insieme vocata a prolungarsi in protesi. È proprio tale predisposizione alla delega tecnica della sensibilità umana, a dispetto di ogni autenticità della sensibilità (già sempre tecnicamente alterata), a fare dell’estetica una tecno-estetica à part entière. Proprio perciò Montani può evocare il dispositivo dell’«ambiente associato» (lì dove sensibilità e tecnica si indeterminano producendo una trasformazione che le investe reciprocamente) come un nuovo, possibile campo della pubblicità.

Non è così scongiurato il pericolo che l’eccesso di delega produca un indebolirsi del carattere genuinamente interattivo della relazione con l’ambiente. Lo spettro dell’anestetizzazione, attraverso processi di ottimizzazione e canalizzazione, inquieta un’immaginazione interattiva istruita tecnicamente. Il paradossale pharmakon a un simile esito potrebbe venire dall’arte. Un’arte, tuttavia, che prende discretamente congedo dalla sua più classica, e alta, interpretazione estetica. La creatività vincolata dell’immaginazione nell’interazione resa disponibile dal rapporto tra tecniche e immagini riconsegna l’arte alla sua radice di ars: una tecnica, una pragmatica. Alla questione dell’autonomia dell’arte, al beato esilio – e dunque anche alla silenziosa resistenza – dell’opera, si accompagna, oggi più che mai, la capacità tipica dell’opera di istituire una normatività propria: essa, in altre parole, diventa un modello di rule-making creativity. Se all’arte in senso estetico sta di fronte l’arte come techne è perché questa sola ha come effetto una politicizzazione.

Il nume tutelare di Montani è qui Walter Benjamin: quello che legge, specchiandoli, artista politico e storico materialista, «montatori» della catastrofe e «ordinatori» delle «macerie» (quelle che oggi hanno la consistenza così speciale delle immagini mediali); essi sono i prototipi di una forma di interattività che trasforma, in virtù del suo tratto elaborativo, il concetto stesso cooperazione.

La realtà aumentata

Il passaggio che si disegna è dunque quello che conduce (senza nulla togliere al polo da cui si muove, trasformato e amplificato in quello che si traguarda) dalla riflessività alla pragmatica, dalle idee estetiche kantiane all’estetica dei valori espositivi benjaminiana. La «forma di vita tecnica» – quella che sperimentiamo in ogni nostro commercio tecnicamente istruito con le immagini che ci riguardano – è la sede di questa trasformazione regolata e insieme non programmabile. Il salto di scala è potenzialmente dirompente: il caso di una tecnologia come Google Glass rende archeologica una esperienza virtuale dell’interattività. Non è una strada segnata, né una fatalità: si tratta di una potenza. La realtà «aumentata» è sempre disponibile a risolversi in una realtà diminuita e impoverita o a distendersi in una realtà amplificata e plurale, costantemente rimontata e autenticata da molti occhi (sensibili e tecnici) e da molte narrative. L’ambiente associato – dove una tecnica incontra la sensibilità, modificandola e essendone a sua volta trasformata – è allora sempre, virtualmente, uno spazio politico. È un’intuizione cruciale: l’estetica intermediale di Montani ci suggerisce e quasi ci impone di pensare che quella che forse inconsapevolmente stiamo già praticando è una politica dei mezzi.