La vita esibita come invenzione
Roberto Arlt, 1935
Cultura

La vita esibita come invenzione

Letteratura latinoamericana La documentatissima biografia di Sylvia Saitta su Roberto Arlt, uscita per Miraggi edizioni. L’autrice sa inquadrare lo scrittore e giornalista in un grande affresco della società argentina del tempo
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 luglio 2022

Scoperto tardivamente dalla nostra editoria, Roberto Arlt è un autore il cui nome è diventato familiare ai lettori italiani in anni recenti, quando alle traduzioni dei suoi romanzi più importanti (Il giocattolo rabbioso, I sette pazzi, I lanciafiamme), già in circolazione dagli anni ’70, si sono aggiunte quelle dei racconti, di un quarto e ultimo romanzo a lungo trascurato (L’amore stregone), di parte delle celebri Acqueforti apparse soprattutto sul quotidiano El Mundo, e perfino di alcune brevi pièces teatrali. Un ampio arco di titoli, dunque, offerti a un pubblico che si suppone al tempo stesso esigente, curioso e non ignaro dell’importanza di uno scrittore definito da César Aira «il più grande romanziere argentino».

NONOSTANTE IL SUCCESSO che l’aveva accompagnato in vita, dopo la morte avvenuta a soli quarantadue anni, su Arlt calò un quasi assoluto silenzio, finché a partire dalla metà degli anni Cinquanta un’agguerrita pattuglia di studiosi prese a rileggerlo in chiavi nuove e diverse, conferendogli una posizione centrale che nessuno mette più in discussione, anche se Ricardo Piglia (il suo esegeta più attento ed entusiasta) afferma in Critica e Finzione che Arlt mantiene ancora «il sigillo dell’illegittimità» dovuto al suo rapporto trasgressivo con la cultura dominante e alla provenienza da un luogo decentrato e marginale.

Tra coloro che hanno contribuito a riportare in primo piano un autore così radicale, dando il via a una valanga di studi e analisi critiche, c’è indubbiamente Sylvia Saitta, ordinaria di Letteratura all’Università di Buenos Aires, che non solo ha curato diverse edizioni degli inediti di Arlt e ha scritto diversi saggi su di lui, ma è anche autrice della sua più importante biografia, finalmente disponibile in Italia (sia pure a più di vent’anni dalla prima edizione argentina) grazie ai traduttori Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi che l’hanno proposta a Miraggi Edizioni.

Arlt. Lo scrittore nel bosco di mattoni. Una biografia (pp. 262, euro 18) è un testo documentatissimo e avvincente, nel cui prologo Saitta dichiara che il testimone meno affidabile, per il biografo, è stato proprio il biografato, incline a mentire e a fornire su di sé dati erronei e contraddittori, al fine di costruirsi una figura pubblica da ribelle misconosciuto e messo al bando dai suoi pari e dalla critica. Un’immagine, nota Saitta, «corretta e smitizzata dalla sua forte visibilità nei giornali e nelle riviste dell’epoca e dal pronto riconoscimento di altri scrittori», nonostante la prolungata ostilità dell’influentissimo gruppo riunito intorno alla rivista Sur e la condiscendenza che da traspare dall’omaggio di alcuni colleghi illustri.

PROVENIENTE da una classe sociale di scarse risorse economiche, autodidatta nutrito di letture eterogenee (da Ponson du Terrail agli almanacchi e alle dispense scientifiche, fino ai grandi scrittori europei), con le sue modeste «menzogne» Arlt sembrava sottolineare il difficile accesso alla letteratura da parte di chi non poteva vantare né la preparazione culturale né la solida tradizione familiare delle élites, e al loro posto esibiva un solido orgoglio proletario.

Nonostante la parziale reinvenzione di sé, sappiamo comunque con certezza che era figlio di immigrati (il capofamiglia Karl, violento e autoritario, veniva da Poznan, e la madre Ekatherine Ibstraibitzer da Trieste), che la difficile situazione della famiglia lo aveva costretto ad abbandonare precocemente la scuola e a guadagnarsi la vita sin dall’adolescenza, iniziando poi una carriera da giornalista che gli garantì una considerevole notorietà grazie alle leggendarie Acqueforti, brevi cronache in cui affrontava e commentava vita e costumi di Buenos Aires (ma anche le ingiustizie, la corruzione e i vizi della politica), apprezzatissime da quel «comune lettore» cui apertamente si rivolgevano.

Saitta espone in dettaglio queste e altre vicende: i viaggi in qualità di inviato (immortalati in altre Acqueforti) tanto in America latina che in Spagna e in Nordafrica; l’infelice matrimonio con la figlia di danarosi bottegai italiani, Carmen Antinucci («Lei e i suoi genitori non hanno mai saputo parlare se non di soldi, sempre di soldi. Quella donna non sa cosa siano i sentimenti. Ha un cuore di pietra…», scrive Arlt alla sorella); le seconde e turbolente nozze con la redattrice editoriale Elizabeth Shine, donna indipendente ed emancipata; la fallimentare attività di inventore dilettante («Non sono uno scrittore che inventa, sono un inventore che scrive»), attribuita anche ai suoi personaggi (l’Erdosain di I sette pazzi o il Silvio Astier di Il giocattolo rabbioso), decisi come il loro creatore a ideare e fabbricare qualcosa che li renderà ricchi una volta per tutte.

FACENDO RICORSO a fonti di prima mano, oltre che a un’attenta ricerca d’archivio, Saitta ha il merito di inquadrare il dato biografico in un grande affresco della società argentina del tempo e delle sue tensioni culturali e politiche, restituendoci «una figura nuova di intellettuale, prodotto della massificazione e della commercializzazione della stampa e della letteratura» favorite da nuove conquiste tecniche, che non ignora le sollecitazioni del mercato ma sa anche governarle, in quanto partecipe e interprete del processo di modernizzazione in corso.

ARLT, SCRITTORE eminentemente urbano che saprà allargare i suoi orizzonti al resto del mondo, nei romanzi e nelle cronache dà conto di una babelica metropoli invasa da una nuova popolazione di immigrati, con una nuova estetica e un nuovo immaginario. E, ovviamente, nuovi conflitti ideologici e di classe, cui lo scrittore fu spasmodicamente attento, tanto da collaborare a due riviste legate al Partito Comunista e a partecipare alla nascita della Unión de Escritores Proletarios, i cui obiettivi erano la difesa dell’Unione Sovietica e la lotta contro il fascismo.

Una militanza entusiasta quanto breve, che indusse Raúl Larra, comunista e autore nel 1950 della prima biografia arltiana, ad affermare «Arlt è dei nostri!», senza coglierne il carattere rivoltoso e anarchico. Saitta, che ne è ben consapevole, disegna invece con chiarezza l’ondivago percorso politico di Arlt, animato da un’indubbia coscienza di classe e sempre dalla parte degli sfruttati, ma insofferente alle direttive di partito e nemico del realismo socialista.

Stabilendo un continuo e fitto dialogo tra una vita breve e tumultuosa e un’opera multiforme (il ciclo dei romanzi, inaugurato nel 1926 e concluso nel 1932, i racconti, i copioni legati al Teatro del Pueblo fondato da Leónidas Barletta e infine l’enorme produzione giornalistica, sempre connotata da indiscutibile qualità letteraria), la biografa mette in luce la straordinaria novità dei temi, dello stile e della lingua di Arlt, irregolare e composita, con un fraseggio definito da Piglia «ibrido e in ebollizione», che da più parti gli guadagnò l’accusa di scrivere male (si vedano in proposito le condiscendenti osservazioni di Cortázar nel prologo a I sette pazzi), là dove si opponeva frontalmente e per scelta «alla norma piccolo borghese dell’ipercorrezione che serviva a definire lo stile medio», annunciando il linguaggio di avanguardie future.

E proprio come «uno storico del futuro» (sempre in parole di Piglia) ci appare oggi Arlt, le cui opere e la cui figura sono più che mai capaci di parlare del presente, con indiscutibile e visionaria potenza.

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