Dopo la fine della seconda guerra mondiale e superato il periodo di difficoltà economiche legate alla ricostruzione, non solo materiale, del Giappone, il paese, specialmente dagli anni sessanta in poi, cominciò a rialzarsi. La tipologia di classe media mutò notevolmente lasciando spazio all’avvento del cosiddetto sarariman o salaryman, il tipico impiegato che lavora presso uffici di aziende private o sedi governative che ancora oggi forma la maggioranza della forza lavoro che si vede a tutte le ore del giorno nelle grandi città giapponesi. Se all’inizio questo termine indicava la conquista di una stabilità economica tanto agognata, con il passare dei decenni la parola si è trasformata quasi in un peggiorativo per indicare un uomo con famiglia che vive la sua vita in modo abbastanza uniforme e monotono.

Molti sono i programmi televisivi, le commedie o anche gli spettacoli comici teatrali che prendono spunto dalla vita del salaryman per riderci sopra ed ironizzare. Uno degli esempi più riusciti è un film del 1963 di Kihachi Okamoto. Più famoso fuori dal Giappone per i suoi lungometraggi di guerra o di samurai, Okamoto con L’elegante vita di Everyman (o Eburiman), realizza una commedia fine ed intelligente, mai monotona ed anzi molto ritmata, che quasi precede la libertà espressiva della nuova onda del cinema giapponese dell’epoca. Eburi – un gioco di parole che sta ad indicare l’inglese every (per everyman) – l’uomo qualunque, è un impiegato che lavora come copywriter in una grande azienda, sposato, con un figlio e che abita in un appartamento della compagnia. Un giorno, dopo aver bevuto con i colleghi, altro tema ricorrente della vita del salaryman, incontra dei giornalisti che gli offrono la possibilità di scrivere un libro sulla sua vita da impiegato.

Da qui in poi la pellicola diventa molto metafilmica, con il protagonista che si rivolge in prima persona allo spettatore, per parlare di quello che gli passa per la test, del resto il monologo in prima persona è lo stile adottato nel libro da cui il film è tratto, scritto da Hitomi Yamaguchi.
Non c’è niente di speciale o di particolarmente interessante nella sua vita, ma è proprio questo uno dei punti di forza del film, raccontato con una serie di stili diversi, animazione, angolazioni inconsuete ed un senso dell’umorismo che sorprendentemente funziona ancora oggi e anche fuori dai confini dell’arcipelago. Okamoto ed il suo sceneggiatore Toshiro Ide si prendono gioco dello stile di vita del giapponese medio del periodo. Siamo, è bene ricordarlo, un anno prima delle Olimpiadi di Tokyo, proprio come nel momento attuale, un evento che sarebbe diventato uno spartiacque simbolico nel processo di modernizzazione del paese.

Nella routine quotidiana del nostro protagonista non c’è niente che non vada, è tutto molto normale, ma è proprio qui che sembra venire a galla il vuoto esistenziale che sta al di sotto, sia esso causato dalla tremenda accelerazione storica di quegli anni, o più semplicemente dall’età del protagonista che, ottenuti famiglia, casa e lavoro stabile, procede nella sua vita con il pilota automatico ma senza particolare gioia di vivere.
Il film doveva essere diretto da Yuzo Kawashima, sorta di padre spirituale della nuova onda giapponese, ma il regista morì nel 1963 ed allora il progetto fu assegnato a Okamoto. L’elegante vita di Everyman fu un totale insuccesso, ma rimane un piccolo gioiello da riscoprire, perché il lavoro finito è una commedia dal tocco sperimentale che gioca molto con lo stile, flashback, scene di sogno e animazione stilizzata, ma che è capace di divertire facendo riflettere.

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