Forse questo crudele La vita è sogno è l’ultimo atto, insieme a una performance che andrà in scena fra pochi giorni alla Biennale di Venezia, della lunga esplorazione che Federica Maestri e Franco Pititto, i due artefici di Lenz, hanno condotto intorno all’opera di Calderón de la Barca. Lo spettacolo doveva debuttare lo scorso anno, fra le manifestazioni organizzate a Parma capitale della cultura. Culmine di una ricerca proseguita per molti anni, spaziando attraverso testi non tanto frequentati come Il magico prodigioso e il tardo auto sacramental che riportava il più celebre dramma omonimo a una forma teatrale di carattere quasi liturgico. Poi le cose sono andate come si sa, e anche il teatro è stato messo in mora. Ed ecco che rinasce ora, il capolavoro di Calderón, in un nuovo allestimento pensato per un sito specifico, l’abbazia cistercense di Valserena, nella campagna parmense, sede di un ente universitario. Con un ensemble che raccoglie performer anziani e adolescenti, attrici storiche di Lenz come Sandra Soncini e Valentina Barberini, gli attori sensibili che da tempo accompagnano il lavoro della compagnia, tre cantanti lirici impegnati nelle arie e i corali della Passione secondo Matteo di Bach che punteggiano l’azione.
È un percorso che si sviluppa in cinque stazioni lungo il perimetro esterno del grande edificio, a partire dall’ora del tramonto. Si inizia con un avvicinamento che porta lentamente gli spettatori itineranti dentro l’azione, e ancor più dentro i riflessi teologici e filosofici del testo, su cui è intervenuto il lavoro drammaturgico di Pititto.

ALL’INIZIO è la distanza. Quattro figure si muovono sull’erba armate di ginocchiere e caschi da pugilato sui costumi colorati che fanno contrasto con i severi bianchi e neri indossati dai protagonisti. Il giovane Sigismondo ha un costume nero da bagnante di altri tempi e lunghe calze bianche, mentre compare sul fondo, su un trabattello metallico dove è sistemato uno scomodo giaciglio. È l’oscura prigione del dramma, la torre in cui il giovane principe è stato rinchiuso dal padre nell’infanzia per il timore di una funesta predizione. Lui chiede di sapere. Qual è il delitto? E la domanda diventa un urlo: libertà!

Intanto è comparsa una giovane donna dall’apparente nudità, cui non sappiamo attribuire un ruolo. Vaga anche lei sul prato accarezzandosi il ventre gravido. Poi raggiunge Sigismondo e lo porta via con sé. Si gira intorno all’abbazia, costeggiando un campo di alti girasoli. Dall’altra parte quei ponteggi metallici addobbati a giacigli si sono moltiplicati lungo tutta la parete. I letti ospedalieri de La vida es sueño hanno generato quest’altro costrittivo luogo di contenzione. Solo questo spazio contemplano le stanze del palazzo. Ecco il re Basilio che si balocca con una sfera dorata, paradigma della sua fede nell’astrologia, deciso a «creare un sogno» in cui il giovane principe, liberato dalla torre, sia re, in modo che si manifesti la sua vera natura.

Ma Sigismondo è ormai diviso fra la sua vita di prigioniero e quella nuova che forse è stata solo sogno, si sdoppia infatti in due gemelli che hanno nome Vivere e Morire, mentre nel gioco dei raddoppiamenti emerge il rispecchiamento del dramma filosofico nel dramma teologico, con l’evocazione di un’ultima cena sulla via che porta al Calvario. Donando un contenuto drammaturgico alle arie bachiane che continuano a intervallare l’azione. Chi sono? continua a chiedere il giovane principe, a cui non resta altro che scendere a battaglia. Che può fare un uomo quando uomo è solo un nome, è la domanda che ci lascia.

SUL CANTO lentamente si spengono le luci. È quasi buio. Sulla parete di fronte compaiono le immagini ingigantite dei due ragazzi che mimano esercizi ginnici o colpi di pugilato. Atleti del cuore. Una mezza luna sale sul tetto dell’abbazia. Bisogna frenare la tentazione di attribuire a questo albeggiare un significato troppo metaforico.