In Italia si avverte uno scarto insopportabile tra il discorso pubblico della politica e la realtà delle cose. I segni della pandemia sulla società sono già profondi, ma non c’è alcun cambiamento nell’approccio ai problemi sul tappeto. Il tema è come l’economia di mercato possa superare questa fase di difficoltà, non come uscire dalla pandemia in modo diverso da come ci siamo entrati.

C’è molta retorica anche sulle nuove risorse europee, sulle due transizioni, quella «verde» e quella «digitale». Ma senza un cambiamento dei paradigmi socioeconomici dominanti non si otterranno risultati apprezzabili dal lato delle condizioni materiali di vita delle persone. Una volta si diceva che «l’ambientalismo senza lotta di classe è solo giardinaggio».

Oggi non è più così. L’ambientalismo è entrato nel linguaggio e negli obiettivi del capitale. Può costituire la nuova frontiera della sua rigenerazione, come lo furono in passato alcune innovazioni tecnologiche, la conquista di nuovi mercati ed una maggiore accessibilità alle materie prime. Per dirla con Giorgio Lunghini, «la capacità di mutare forma per conservare la propria sostanza è la caratteristica principale del capitalismo».

Ma cosa si deve intendere per «condizioni materiali di vita delle persone»? In primo luogo quelle che discendono dai livelli di reddito dei singoli o delle famiglie. Situazione abitativa, mangiare e vestirsi, accesso alle cure e all’istruzione, dipendono da quanto si guadagna. Ovviamente, conta molto se si lavora o se si è disoccupati.

Rimanendo su questo piano, la situazione che c’è oggi in Italia è a dir poco drammatica. Secondo le ultime stime dell’Istat, da un anno a questa parte ci sono un milione di poveri assoluti in più nel nostro Paese. Numeri da brivido. Il 10% degli italiani non può permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile. Pesa l’ecatombe di posti di lavoro che c’è stata nell’ultimo anno, che ha colpito soprattutto donne e precari. Una situazione fuori controllo che si innesta su un tessuto sociale sfibrato dalle politiche di austerità, di contenimento salariale e di «flessibilizzazione» del mercato del lavoro degli ultimi decenni. Ma pesa anche l’erosione del welfare state.

Negli ultimi vent’anni, il nostro Paese ha adottato misure di contenimento della spesa sociale senza ricalibrare le prestazioni del welfare sui nuovi bisogni. È rimasto fuori il nuovo proletariato, figlio del lavoro frantumato, digitale, post-fordista.  Le «condizioni di vita delle persone» si qualificano però anche ad un altro livello. Ammettiamo che nei prossimi mesi una forte iniezione di investimenti pubblici faccia crescere il numero degli occupati. Più domanda, più consumi, più occupazione e, naturalmente, più profitti. Ma per «stare meglio» basta solo consumare un po’di più? Avere un lavoro saltuario o non averlo affatto fa la differenza per quanto attiene all’accesso alle merci, certo.

Ma dopo più di due secoli dall’avvento della società industriale/salariale, possibile che il problema delle nostre economie rimanga quello di assicurare un salario di sussistenza ai lavoratori, per riprodursi e consumare? Dalla crisi si potrà uscire con l’economia in equilibrio (e più verde) e la società a pezzi, oppure con una nuova economia in cui piena occupazione e dignità/stabilità/libertà del lavoro possano camminare di pari passo. Non è solo una questione di salario. Riguarda la qualità dei rapporti di lavoro e la funzione che il lavoro dovrebbe avere nella ricostruzione post-pandemica. Il capitalismo contemporaneo ha accentuato una vecchia dicotomia, quella, per dirla con Claudio Napoleoni, «tra lavoro e bisogni». Bisogni intesi ben oltre il vestirsi, il bere, il mangiare, il possedere lo smartphone. Primo fra tutti, quello di riprendersi la vita, riconciliandola con la produzione della vita materiale.

Per questo il tema non può essere soltanto «quanti soldi abbiamo», ma anche come gli investimenti possano contribuire al benessere sociale, riducendo e redistribuendo il lavoro, contrastando la pervasività del mercato e della sua logica, che ora tutto informa, tutto plasma, tutto subordina a se stessa. Non è semplice. La lotta di classe alla rovescia ha dato i suoi frutti. Ma il tema non è più eludibile. È il tema della sinistra.