Rudyard Kipling, da piccolo, pendeva dalle labbra delle sua nutrice indiana che, notte dopo notte, gli raccontava antiche leggende del suo paese. Incantato, insieme alla sorella, immaginava quei mondi popolati da animali selvatici e saggi e da principesse avvolte in veli coloratissimi. Nato nel 1865, passò un’infanzia felice e benestante a Bombay; suo padre dirigeva il museo di Lahore e insegnava scultura architettonica, mentre la madre era di ottima famiglia. Crebbe coccolato in casa dai genitori e, fuori, dalla natura lussureggiante, assaporando la vita sulla scia degli odori speziati nei mercati all’aperto.

MA I SOGNI prima o poi finiscono e un giorno Rudyard (il suo nome riecheggiava il lago dove sbocciò l’amore fra i suoi ) fu spedito in Inghilterra dove compenserà con la miopia la cupezza della nuova realtà. Affidato ad anziani parenti, una coppia bigotta e dal piglio severo se non crudele, il bambino dovette abbandonare la sua libertà, divenendo prigioniero di una «puritana educazione inglese». La sua ribellione sarà nell’appannamento della vista – la solitudine del pittore Dick Heldar, alle soglie della cecità, che ritroviamo nel suo La luce che si spense ha molti rimandi biografici trasfigurati nel romanzo. L’unica cura possibile sarà il nuovo, desideratissimo ritorno in India.
È dedicato a Kipling, premio nobel per la letteratura (1907) l’albo Rudyard, il bambino con gli occhiali, uscito per Orecchio Acerbo (pp. 44, euro 16), illustrato dalla disegnatrice di fumetti Cinzia Ghigliano, già premio Andersen nel 2016 con Lei, la storia incredibile della fotografa Vivian Maier.
La stessa casa editrice aveva pubblicato l’anno scorso il magnifico racconto Bee Bee pecora nera, dove Kipling ripercorreva i suoi tristi anni inglesi nella «casa della desolazione», la dimora della temibile zia Rosa.

SONO TUTTE UGUALI, grigie e noiose anche le giornate di Bert e Betty prima che al marito conducente d’autobus non spuntasse un piccolo angelo nel taschino, sgomitando e frullando le ali. Una lillipuziana creatura dal cuor contento, golosa di gelatine alla frutta, che farà amicizia con i bambini della scuola (soprattutto con Nancy), verrà rapita da malintenzionati, poi salvata dalla comunità che l’ha accolta. Da parte sua, cavalcando avventure, non dimenticherà mai di salutare il mondo a suo piacimento: con uno scorreggino, sempre sorridendo. Un angelo nel taschino di David Almond (Newcastle, 1951), è arrivato fra gli scaffali italiani con Salani (pp. 266, euro 14, 90, illustrazioni di Alex T. Smith, traduzione di Giuseppe Iacobaci). Quel mini bambino dotato di ali può considerarsi, per la sua innocenza e gaiezza, l’altra faccia di Skellig, l’affascinante ragazzo-uccello dall’animo dark con cui lo scrittore inglese ha esordito nella letteratura «young». Angelino Brown è solare, per niente problematico e ispirando fiducia si trasforma in un paladino della lotta anti-bullismo, suo malgrado. Senza fare niente se non esistere. «Siamo in molti a sognare di volare – aveva confessato l’autore in un’ intervista a il manifesto – E fin dalla notte dei tempi, racconti e immagini ci hanno mostrato creature umane alate. Significa coltivare un desiderio di libertà».

ALMOND CON LA CONSUETA ironia affidata anche a giochi di parole umoristici, affresca una scuola atavica, costellata di docenti e presidi «prede» dei loro tic. È una scuola che non sa seguire la creatività infantile e, parola di scrittore, vede i bambini come «fossero fabbriche per gli esami, classificandoli in unità economiche».

Da Vancouver, grazie alla brillante penna della canadese Susin Nielsen, sceneggiatrice anche di popolari serie tv, arriva invece una storia di adolescenza difficile. Il romanzo Una casa sulle ruote (Il Castoro, pp. 240, euro 15,50, traduzione di Claudia Valentini) narra la quotidianità «mobile», a bordo di un furgone, di Astrid e Felix, rispettivamente madre e figlio. Un’esistenza fatta di espedienti, aggirando sempre il Mif, l’organismo che, se insospettito da qualche segnalazione, invia gli assistenti sociali. Che per Felix è peggio dei fantasmi e i mostri delle fiabe. A volte, gli capita di dover essere «presente» e far andare tutto per il verso giusto quando Astrid ha uno dei suoi crolli e non si alza dal letto. Sua madre ruba «contro il sistema capitalistico», non trova mai lavoro oppure la licenziano.

MA FELIX è convinto di poter avere un’altra vita e l’inizio di quella svolta agognata sarà un programma televisivo. Non andrà per lui come nel film The Millionaire, ma il ragazzino saprà rispondere alle leggi del mercato con dignità e non disdegnando l’aiuto di genitori di suoi compagni più fortunati. Susin Nielsen racconta che l’idea del libro le è venuta in mente osservando il fatto che «a Vancouver le case sono trattate come investimenti di lusso. I prezzi sono saliti alle stelle e notavo molti camper parcheggiati lungo la spiaggia». È così che l’autrice ha affrontato la storia di una famiglia senzatetto, dove Felix, 13 anni, vive il suo romanzo di formazione facendo i conti con l’imperfezione di sua madre e con la non spendibilità degli affetti per andare avanti.
Diversamente, a Paul, «teen» ordinario che affronta il liceo, quando proprio tutto sembra filare per il verso giusto – si è fidanzato la ragazza che ama Natalia, ha qualche screzio con il suo amico Roby ma conta di risolverlo presto con l’arma dell’affetto profondo, vive a Brevard, nel North Carolina con una madre premurosa e un padre lontano ma presente – qualcosa si rompe dentro.

UN TRAUMA diventa insormontabile e lui cade in una spirale tossica. Un ragazzo così di Lauren Myracle (Feltrinelli, pp. 216, euro 14, traduzione Giulia Taddeo) è una storia che non edulcora l’adolescenza e fruga nel buio spaventevole che spezza i sogni dell’infanzia. L’autrice americana, che ha al suo attivo la serie best seller Internet Girls, ha spiegato di aver voluto rendere omaggio, con il suo libro, ««alla ricchezza della vita interiore di un giovane», non giudicando la sua vulnerabilità ma lasciandola allo scoperto. «La vita lancia palle ad effetto: o gettiamo la spugna o ci tiriamo su, ci spolveriamo e continuiamo ad andare avanti».