Dieci donne in un salone di bellezza attendono il loro turno per un taglio di capelli, il trucco, una depilazione. La musica che sprigiona dal cellulare della proprietaria serve a coprire il fastidioso ronzio di un «corvo»: un drone israeliano che si aggira in cielo. Siamo a Gaza, in Palestina, dove lo scorrere normale della vita prevede improvvisi black out, il razionamento della benzina per far funzionare i generatori di corrente, il rumore dei fucili mitragliatori fuori dalla porta e l’attesa rassegnata di una nuova guerra.

 

 

 

Dégradé dei registi palestinesi Arab e Tarzan – nomi d’arte dei gemelli nati e cresciuti proprio a Gaza Ahmed e Mohammed Nasser – racconta questa «normalità» da un punto di vista esclusivamente femminile, replicando all’interno del salone di bellezza la chiusura forzata al resto del mondo della comunità che vive nella Striscia. Il film, presentato alla Semaine de la Critique di Cannes 2015, apre oggi al cinema Odeon di Firenze la settima Edizione del Middle East Now – fino al 10. Per i gemelli Nasser Dégradé è il primo lungometraggio, «realizzato in un unico luogo pieno di specchi, in 22 giorni e con tantissime attrici» raccontano – Una delle clienti della parrucchiera e estetista Christina, una donna russa arrivata in Palestina a seguito del marito, è interpretata da Hiam Abbas, che ha subito accettato il ruolo dopo aver letto il copione nonostante il povero budget e i tempi di produzione strettissimi.

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«Volevamo parlare della vita reale di tutti i giorni a Gaza, che vista attraverso il muro viene spesso mal compresa. E soprattutto quella delle donne, immaginate sempre e solo coperte da un velo e senza una voce propria. Per questo ci siamo concentrati sui personaggi femminili: le donne a Gaza sono uguali a quelle nel resto del mondo».

 

 

Fuori dal salone, mentre cala il sole, i disordini e gli scontri a fuoco si moltiplicano. «Una metafora della condizione orribile in cui viviamo» dicono i cineasti. Il conflitto non coinvolge però, come ci si potrebbe aspettare, l’esercito israeliano: si svolge tra gli uomini di Hamas e alcuni oppositori intorno a un leone portato in giro dal fidanzato dell’assistente di Christina. L’aneddoto arriva dalla realtà. Dicono i registi: «Tempo fa il governo ha attaccato una famiglia potente di Gaza per requisire un leone che avevano comprato dallo zoo».

 

 

I due fratelli nei confronti di Hamas non hanno molta simpatia: «Da loro il cinema non viene affatto rispettato» spiegano. Nati nello stesso anno che ha visto la chiusura delle sale cinematografiche i Gaza, il 1988, saltavano la scuola per «esplorare i cinema bruciati e distrutti vicino a casa nostra, alla disperata ricerca dei poster dei film». Di questa passione c’è traccia nel loro primo lavoro, un’esposizione di manifesti cinematografici di film fittizi e titolati come le missioni israeliane in Palestina: «Piogge estive», «Nuvole d’autunno» è così via. «Volevamo realizzare una fantasia cinematografica su quelle operazioni militari».

 

 

Dègradè non è l’unico film palestinese in programma al Middle East Now: nei prossimi giorni verranno proiettati anche The Idol di Hany Abu Hassad – storia di un ragazzo di Gaza che ha vinto il programma televisivo Arab Idol – il documentario Speed Sisters di Amber Fared e il cortometraggio candidato agli Oscar Ave Maria di Basil Khalil.

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Tema di questa edizione del Festival è «Love & Live in Middle East», una polifonia di voci di registi mediorientali che raccontano la vita quotidiano in mezzo alle guerre e i bombardamenti ma anche la speranza nel futuro. Tra i paesi rappresentati anche la Siria, con A Syrian Love Story di Sean McCallister, documentario che racconta la storia d’amore di due attivisti girato nell’arco di cinque anni.

 

 

 

Dalla selezione dell’ultima Berlinale viene invece la prima commedia romantica dell’Arabia Saudita: Barakh meets Barakh di Mahmoud Sabbah. Ospite d’onore sarà la regista turca Yeşim Ustaoğlu, di cui verranno proiettati quattro film compreso il più recente Araf (2012).