Quando nel 1989 al Festival del Cinema Fantastico di Roma veniva presentato Tetsuo, ma ancora di più quando grazie alle nottate di Fuori Orario negli anni successivi il film diventò un film-culto per gli appassionati, Shin’ya Tsukamoto era ancora un nome sconosciuto, tanto in patria quanto nel resto del mondo. In questi trent’anni dall’uscita di uno dei debutti più folgoranti del cinema contemporaneo, Tsukamoto ha continuato a sperimentare sia nella forma e che nei temi trattati, ma allo stesso tempo rimanendo sempre fedele a se stesso e a un’idea di cinema quasi artigianale, dove l’autore si occupa di quasi tutto il processo creativo, dalla sceneggiatura, alla fotografia, fino al montaggio ed alle scenografie. La storia dell’uomo che cerca di fondersi con il metallo avrà nel corso dei decenni due seguiti sempre creati da Tsukamoto, Tetsuo II: Body Hammer del 1992 e Tetsuo: The Bullet Man dieci anni or sono che fu per l’occasione adattato anche in manga. Il trentesimo anniversario dall’uscita nelle sale giapponesi di Tetsuo, conosciuto all’estero come Tetsuo: The Iron Man, verrà celebrato in patria attraverso una serie di eventi speciali, la proiezione del film e di altri lavori di Tsukamoto in alcune sale, ma anche la produzione di magliette, disegnate dallo stesso regista per l’occasione.

MA COSA ha rappresentato e cosa rappresenta oggi Tetsuo? Innanzitutto al momento della sua uscita, incrociò alcune importanti tematiche che stavano venendo a galla fra la fine degli anni ottanta e gli inizi dei novanta. Spesso di parla e si scrive di Tetsuo come un lavoro cyberpunk, in realtà è veritiera solo metà dell’equazione, c’è ben poco di cyber nel film e molto invece di punk, influenza che arriva probabilmente anche dal cinema di Shogo (ora Gakuryu) Ishii. Con l’ossessione per il metallo e l’ibridazione fra carne ed elemento inerte e inanimato portata in primo piano quasi per destabilizzare l’elemento umano del cinema, ed il concetto di distruzione come mutazione in qualcosa d’altro, Tetsuo parla e connette in realtà con strati più profondi dell’arte e del pensiero contemporaneo come le opere di Francis Bacon, o gli scritti di Gilles Deleuze e Mario Perniola ad esempio.
Testuo non è assolutamente il miglior lavoro uscito dall’immaginazione di Tsukamoto durante questi ultimi decenni, A snake of June, Kotoko o Vital, dipende un po’ dai gusti personali, sono decisamente opere più riuscite, profonde e complete. Ma il film del 1989 possiede una forza primigenia e rabbiosa, quasi rimbaudiana vista la giovane età di Tsukamoto all’epoca, per cui è difficile trovare un paragone.

QUESTO anche perchè il film è il crocevia dove cinematograficamente si incontrano molte strade, la qualità «amatoriale» della pellicola, Tsukamoto debutta con un corto al Pia Film Festival, evento jishu eiga (indipendente) per eccellenza, le influenze dei kaiju eiga, i film di mostri alla Godzilla, ed infine l’estetica dei videoclip musicali sviluppatasi durante gli anni ottanta. Testuo anche quando (ri)visto dopo trent’anni dal suo debutto, sia con gli occhi di chi lo scopre per la prima volta (che privilegio!) sia di chi lo rivisita dopo tanto tempo, resta un film quasi indescrivibile che lavora su livelli di cinema più contigui a quelli toccati dalla sperimentazione alla Stan Brakhage che non a quelli affrontati dal cinema narrativo, sia esso di fantascienza o dell’orrore. Il montaggio spiritato, l’incredibile soundscape industriale composto dal compianto Chu Ishikawa, la vitalità sessuale incontrollabile e la visionarietà di stampo quasi lynchiano lo rendono ancora un oggetto filmico non identificato e per questo meritevole di riscoperta.

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