«Questa è una vampira, e il Tribunal Supremo de Justicia si è trasformato in una casa d’appuntamenti». Al Parlamento venezuelano, si esprime così il deputato di opposizione Rafael Guzman. La destinataria dell’insulto, Tania Diaz, nota giornalista eletta nelle fila chaviste, si alza e lo fronteggia. Il giovane deputato Hector Rodriguez la sostiene e avanza a sua volta: «Se insulta le donne – dice – lei insulta la nostra costituzione. Abbia rispetto per questo luogo e per il suo ruolo». Il recente episodio, è solo l’ultimo di una lunga serie. Durante il nostro ultimo viaggio in Venezuela, abbiamo seguito le donne in una marcia molto partecipata: per portare alla Procura della Repubblica una denuncia contro il presidente del Parlamento, Henry Ramos Allup, esponente della Mesa de la Unidad Democratica (Mud) e anche vicepresidente dell’Internazionale socialista.

Allup esercita spesso la sua proverbiale vis polemica negli insulti sessisti, dato che i principali poteri dello Stato sono diretti da donne, e così pure sono donne molte ministre (una legge stabilisce che il numero delle elette in tutte le cariche politiche non debba essere inferiore al 40%). Al centro del corteo, Blanca Eekhout, neo ministra del Poder popular para la Mujer y la Igualdad de Género. Una leader dei movimenti sociali, formata nelle lotte ambientaliste e contro il latifondo mediatico durante la IV Repubblica, ministra di Comunicazione e informazione nei governi Chavez. «Se toccano una, toccano tutte. Basta con la violenza verbale contro le donne in politica», lo gridano le manifestanti in un corteo inter-generazionale.

«Vedi? – dice al manifesto Eekhout – è con questa realtà che se la prendono: per la loro cultura patriarcale e coloniale, risulta insopportabile che le donne dirigano l’economia popolare, i consigli comunali, le più alte strutture di governo. Oggi che le invisibili hanno preso il centro della scena, cercano di azzerarci, sia sul piano simbolico che fisicamente. Questo linguaggio verbale violento è un’istigazione alla violenza concreta: gli omicidi di leader sociali e le aggressioni da parte di bande paramilitari venute dalla Colombia, sono in aumento. “Brucia, strega, brucia, gridavano nel 2013 le bande fasciste cercando di dar fuoco alla casa della presidenta del Cne, Tibisay Lucena».

Ma se le donne sono costrette a lunghe file per gli acquisti, dove lo trovano il tempo per la politica?
Appunto. Questo è uno degli obiettivi della guerra economica: le donne tornino a parlare di spesa e fornelli . Ma nessuna di noi vuole tornare indietro: sono le donne che organizzano i Clap, i Comitati locali di rifornimento e produzione, e gestiscono l’omonima rivista. La nostra rivoluzione è femminista, le donne sono mediatrici nei conflitti e portatrici di pace.

Tuttavia, il peso delle chiese conservatrici sta impedendo l’approvazione del matrimonio gay e la legge per l’interruzione di gravidanza. Che farà la ministra?
Dobbiamo costruire consenso, la democrazia partecipata resiste perché non si basa sull’imposizione, ma sulla condivisione, determinata dalla battaglia delle idee. La politica delle donne è circolare. Una legge, se non proviene da un cambiamento reale nella società può essere disattesa o trasgredita. Non bisogna guardarsi dalle religioni, ma dal loro uso politico. Da noi vi sono progressisti e reazionari in tutte le religioni.

Il ritorno delle destre in America latina ha un volto particolarmente misogeno: lo abbiamo visto in Brasile, in Argentina, anche in Venezuela con gli attacchi alla ministra degli Esteri Delcy Rodriguez per espellere il paese dal Mercosur. Che possono fare le donne?
Restare unite e organizzate. Mantenere spazi di condivisione, di pace e di giustizia sociale in tutti i luoghi politici, costruire collettivamente, disinnescare odio e aggressioni imponendo un’altra marcia. Ci vuole una grande costituente continentale per rifondare la Nostra America non con l’unità di governi proni alle oligarchie, ma con quella dei popoli. A partire dal movimento delle donne, dalla loro capacità di decolonizzare l’immaginario.