Marmi ridotti a calce viva a causa del calore, mosaici danneggiati in modo irreversibile, crolli di strutture murarie che resistevano da oltre mille anni. Questa volta ad essere colpito dalla furia devastatrice non è un sito del Medio Oriente ma la Villa tardo-romana di Faragola, ubicata nella regione storico-culturale della Capitanata, corrispondente all’antica Daunia e all’odierna provincia di Foggia. La lussuosa residenza, immersa in un suggestivo paesaggio agreste, è andata in fiamme nella notte del 6 settembre. Secondo le prime testimonianze, si tratterebbe di una distruzione programmata e non di un «semplice» atto vandalico. Probabile, anche se ancora privo di riscontri, l’uso di esplosivi per abbattere l’imponente struttura lignea (peraltro ignifuga) che proteggeva i preziosi resti del complesso archeologico, finanziata negli anni da Ministero dei beni culturali, Regione Puglia e Arcus Spa.

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LA VILLA, impiantatasi tra III e IV secolo d.C. sulle vestigia di una fattoria romana, raggiunse il massimo splendore nel V secolo. Le ricerche avviate nel 2003 dall’Università di Foggia sotto la direzione scientifica di Giuliano Volpe e in collaborazione con la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia e la città di Ascoli Satriano, hanno portato alla scoperta di un settore monumentale in cui si distingue una sontuosa cenatio (sala da pranzo estiva), ricoperta di marmi policromi alternati a pannelli con inserti di pasta vitrea. L’elemento più sorprendente della cenatio era lo stibadium (divano per banchetto) realizzato non come di consueto in legno bensì in muratura. Di forma semicircolare, era provvisto di una vaschetta centrale da cui l’acqua fuoriusciva a cascata innescando uno straordinario effetto scenografico tra i vivaci colori della pavimentazione. Le decorazioni in porfido e serpentino e i mosaici rivestiti di lamine d’oro che decoravano la parte a vista del «divano» sono andati persi durante l’incendio.

TRAFUGATO, invece, un oscillum – piccola scultura solitamente appesa come dono votivo in onore del dio Bacco – datato al I secolo d.C. Le indagini archeologiche, protrattesi per circa un decennio, avevano riportato alla luce anche delle terme private estese per più di mille metri quadri: i mosaici della palestra giacciono ora sotto le macerie e sembrano irrecuperabili. Se lo stibadium di Faragola costituiva l’esemplare meglio conservato al mondo, non meno interessante era la fase di età longobarda della villa quando il sito si trasformò in un’«azienda» agricola, modello unico di curtis nell’Italia meridionale. Dallo scavo alla valorizzazione, passando per progetti di tutela che hanno coinvolto anche i professionisti dell’Istituto Centrale per il Restauro, Faragola rappresentava un percorso riuscito e ancora in fieri.

Così, mentre s’insinua il dubbio di un attentato al patrimonio di stampo mafioso, non resta che contemplare le ceneri di un sistema di gestione dei beni culturali nelle cui falle – oltre alle rovine, sprofonda l’articolo 9 della Costituzione.