Luigi Nacci è laureato in Lettere. Poeta, insegnante e guida escursionistica, ha iniziato a camminare 15 anni fa, verso Santiago. Non ha più smesso. A partire dalla sua esperienza ha inventato una parola, viandanza, un concetto che «non sta nei dizionari, ma piace molto alla gente, che se ne è innamorata» racconta all’ExtraTerrestre. «Viandanza ha a che fare con una danza sulla via, ma anche con la danza che la vita può fare su di noi: il viandante – né maschio né femmina – danza e si fa danzare ed è un parente del pellegrino di cui scriveva Dante, quello che abbandona la casa e la sua identità e si fa forestiero. La bellezza della viandanza – sottolinea Nacci – è che si mette l’accento sulla “via”. È molto meglio di camminatore (tutti camminiamo, se abbiamo le gambe) o di escursionista, che rimanda anche ad incursione e ha un che di performativo. Il viandante decide di stare sulla strada aperta e non conosce nessun tipo di agonismo. È una figura ibrida e sfuggente ma anche molto politica».

Nel novembre 2020 una nuova edizione del suo libro «Alzati e cammina. Sulla strada della viandanza» (Ediciclo, 192 pp., 11 euro), un manifesto che aiuta a capire se è arrivato (davvero) il momento di partire.

La partenza è fondamentale. In viaggio tutte le nostre certezze si polverizzano: per partire bisogna essere disponibili a metterle in discussione. Non parlo di viaggi organizzati, nei quali la paura è ammortizzata. Intendo quando decidi di partire con uno zaino, magari in solitudine, senza sapere dove andrai, dove dormirai, tornando ad esplorare perdendo una serie di punti di riferimento. Nel momento in cui parti e ti metti in cammino, ti trasformi: tornare alla vita di prima è praticamente impossibile, perché dovresti negare il cambiamento che hai messo in atto.

Il viandante mette in discussione anche la società con le sue regole. A cominciare dall’idea di proprietà privata.

Nei Paesi del Nord Europa esiste un istituto, l’allemansrätt, che equivale a un diritto di pubblico accesso. Almeno in Italia questo è impossibile. Nell’estate del 2020, mentre esploravo i dintorni del lago di Bolsena, sono entrato all’interno di un’enorme proprietà privata, vicino a un cimitero inglese, per attraversarla, anche se lì per chilometri non si potrebbe passare. Per il viandante, però, il concetto di proprietà privata non ha senso: in cammino non hai bisogno di cose materiali ma di passare e l’esistenza di un muro o di un cancello va contro la tua essenza. È come se ti annullasse: dice che tu non esisti. Quando facevamo il Festival della viandanza, in Toscana, abbiamo provato a fare una piccola battaglia per stabilire in Italia una legge per il diritto di passaggio. Forse con il successo dei cammini sarà possibile. Mi chiedo perché i cacciatori, anche in periodo di Covid, possano entrare nelle proprietà private e i camminatori no?

Nel suo libro scrive che «l’unico cammino ostico è il cammino in cui ritorni a casa». Perché?

Dopo aver combattuto contro la paura di partire, oltre l’uscio non ne hai più provata. Quando ti avvicini alla meta, quando torni, non sei più la stessa persona e nemmeno la tua casa è la casa che hai lasciato alla partenza. Dopo aver vissuto all’aria aperta, affrontando ogni esperienza meteo, dividendo il pane con chiunque, senza bisogno di cose, non conoscendo la proprietà privata, fidandoti dell’altro, non è semplice tornare in una casa piena di oggetti, al lavoro, a chi vede in te la stessa persona che eri prima della partenza. La viandanza ti mette di fronte a una scelta inevitabile: fare finta o continuare il tuo cammino di cambiamento.