Il libro La via di Laura Conti, edito da Enciclopediadelledonne e scritto con una accuratezza piena di affetto da Valeria Fieramonte, viene a far parte della riscoperta di quella «primavera ecologica» che era fiorita verso la fine del secolo scorso ed aveva portato i suoi frutti anche fino ai grandi movimenti che da Genova a Firenze e a Perugia avevano sostenuto le speranze affidate anche in forma visiva alle bandiere multicolori della pace e dell’ambiente, che sventolavano da molti balconi ed in ogni luogo nel primo decennio del nuovo millennio. Non si tratta solo di un omaggio, ma della necessaria riscoperta di una originalità dell’ecologismo italiano, che aveva trovato in Laura, in Paccino, Nebbia, Tomatis e Maccacaro, assieme ad altri, la sponda politica e scientifica per contrastare una crescita dissipativa e in netta disarmonia con la natura.

ORA, QUANDO I CONTI CON LA MANCANZA di tempo per affrontare la crisi climatica cominciano a farsi pesanti, uno sguardo ai contributi di una generazione di scienziati interdisciplinari, dediti all’ecologia integrale e in forte sintonia con il movimento operaio e con una stagione di riforme poi rinnegate, torna certamente utile. Ma, soprattutto, serve a chiarire alle nuove generazioni le responsabilità di una politica e di una economia che hanno cancellato una possibile rappresentazione della natura e delle interconnessioni che ne regolano la riproducibilità senza doverla porre in contraddizione con la distruttiva presenza umana sul nostro pianeta. La natura amica è concetto che già era presente in Marx, ma il legame indissolubile tra essa e i diritti del mondo del lavoro, anche quando questo procurava una eccessiva capacità trasformativa, insostenibile per l’Universo che ci ospita, è sempre apparsa sfumata e in second’ordine.

IL LIBRO DELLA FIERAMONTE SI INSERISCE a proposito nel filone di recupero culturale e politico aperto da Poggio e Ruzzenenti con Primavera ecologica mon amour, che consiglio di leggere ed elaborare insieme a questo testo, altrettanto prezioso. Laura è comunista, partigiana, deportata in campo di concentramento, professionalmente medico, tendenzialmente fin dalla prima ora più propensa alla prevenzione che alla cura. La sua attività scientifica si esplica negli anni del miracolo economico, quando lo sviluppo sembra comprendere e circoscrivere in sé ogni ragione di destinazione dell’attività umana. Dal 1960 al 1970 è consigliera provinciale del Pci a Milano e, già allora, sceglie il destino di solitudine di qualunque donna voglia davvero correre libera nei territori del pensiero.

COME MEDICO SCOLASTICO COGLIE quanto e come l’inquinamento dell’aria e una modernità che si dimentica della natura colpiscano in particolare fin dall’infanzia e scrive «chi dice che si muore solo di tumore o di fratture o di ferite? Si muore di nascita, di guarigione, si muore di vita ed è perciò che il medico deve alimentare e coltivare la pietà». In quegli anni si occupa anche di educazione sessuale e della colpevolizzazione e del ricatto che la verginità poneva alle donne anche nel milanese «progredito». A denuncia – a suo giudizio – della contraddittorietà del comportamento degli adulti sulle dimensioni esistenziali dei loro figli, quasi sempre assimilati nel comportamento sessuale alla morale che il patriarcato ha tramandato con regole ferree al Nord come al Sud, anche se la società industriale porterà grandi cambiamenti a partire dai luoghi di lavoro. Partendo dalla sessualità, Laura rimette in fila le tappe dell’evoluzione e approda alla riproduzione ed alla distinzione essenziale che caratterizza la femmina umana, sempre ricettiva e disponibile e, quindi, definitivamente responsabile delle proprie scelte (come sosterrà, non senza qualche distinguo, nel sostegno al referendum sull’aborto).

IL ’68 E IL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI, nonché la nascita di una nuova sinistra, vedono la Conti attenta ad ogni fermento, ma molto indipendente nelle sue appartenenze, mai distanti dalle masse e, direi, «adagiate» nel sentire popolare a cui rivolgeva un’attenzione da militante libera, ma militante. Quando negli anni ‘70 si realizza una corsa caotica della scienza in una competizione anche politica tra il blocco occidentale e quello comunista, la sua preoccupazione è di fondo, in quanto teme già allora il potere di controllo sociale delle tecnocrazie e la problematicità dell’invasione della scienza nel campo della vita. In quegli anni rivolge la sua attenzione all’energia e scrive con Barry Commoner un testo sulle fonti alternative. La tesi di fondo è che la legge dei rendimenti decrescenti renderà i fossili antieconomici e che non sarà il prezzo del petrolio, ma la compatibilità con i tempi biologici e con i cicli vitali a favorire lo sviluppo del solare (1978!).

IN QUEGLI STESSI ANNI CONOSCO LAURA da vicino, assieme a Enzo Tiezzi, entrambi fondatori di Legambiente, associazione che tiene un rapporto stretto con il sindacato lombardo, da cui nascerà l’associazione Ambiente e lavoro. La vicenda terribile di Seveso la vedrà protagonista di una lettura impietosa dell’ignoranza e delle complicità criminali con cui il mondo industriale cercherà di tenere al riparo dalla giustizia i suoi cicli inquinanti. La sua affermazione risulta molto significativa oggi: «L’ecologia è una critica delle scienze in quanto scienze particolari: quindi ha un posto speciale nella politica e nella cultura». Già allora capiva che il dramma dell’Icmesa avrebbe messo in guardia gli italiani sulle centrali nucleari e lo faceva mettendo a confronto in termini di gradi di energia l’ancor maggiore pericolosità dell’inquinamento radioattivo rispetto a quello chimico.

TRALASCIO UNA PARTE RILEVANTE del ricco libro della Fieramonte, che riallinea per intero il contributo della studiosa, per ricordare una mia frequentazione personale dell’ecologista partigiana e comunista, che concepiva la cultura al servizio della democrazia. Si era costituito un gruppo di lavoro alla Cgil Lombardia che si riunì per anni e a cui parteciparono, oltre a Laura, fisici e ricercatori come Valota e Farina, chimici come Scatturin, ingegneri come Tronconi, giuristi come D’Albergo, biologi come Tamino. Il gruppo era aperto a sindacalisti, a studenti e ad insegnanti e diede vita ad una discussione che si svolgeva periodicamente con delegati di fabbrica.

IL RISULTATO DEL CONFRONTO VENIVA registrato e sistematizzato con la pubblicazione di una serie di volumi illustrati (tra cui Nerosubianco e Paneta in Prestito) diffusi capillarmente nei luoghi di lavoro e diventati rilevanti per un orientamento anche in Lombardia a sostegno della chiusura del nucleare nel referendum dopo Chernobyl. A volte ci si riuniva anche tra i gatti che sbocciavano da ogni angolo dell’appartamento della nostra ospite e che segnalavano anche fisicamente la continuità dei suoi affetti verso il vivente in ogni fase delle sue manifestazioni. Sul libro (Una lepre con la faccia da bambina) che regalò a mia figlia, una dedica breve tracciava uno sguardo sul futuro pieno di comprensione per gli umani, ma anche di timore per il loro comportamento sconsiderato.