In questo tempo sospeso l’agricoltura non può fermarsi o rifugiarsi nel virtuale. Così, anche il movimento contadino internazionale La Vía Campesina (Lvc, presente in 81 paesi con le organizzazioni che ne fanno parte) è mobilitato nel tentativo di arginare i danni da Covid19.

In Indonesia, i coltivatori di Serikat Petani hanno chiesto al governo che l’annunciato storno di fondi, dallo sviluppo infrastrutturale alla crisi sanitaria, rafforzi i sistemi alimentari non dipendenti dalle catene di approvvigionamento e distribuzione globali, rette da interessi di mercato e vulnerabili alla speculazione.

Dal confine fra Stati uniti e Messico, la Unión de Trabajadores Agrícolas Fronterizos spiega: «La pandemia minaccia tutti ma in particolare i lavoratori migranti non regolari che non hanno alcun accesso ai programmi di salute e ai servizi medici statunitensi e possono anche trasmettere l’infezione alle famiglie e alle comunità rurali visto che, se si ammalano, probabilmente preferiranno tornare a casa in Messico».

Palestina: la Union of Agricultural Work Committees (Uawc) ha sviluppato un piano d’azione in linea con la dichiarazione di stato di emergenza nazionale. Il piano si focalizza sull’importanza di un contatto stabile – e la fornitura di materiali di protezione – con i lavoratori del settore, soprattutto nelle aree remote e marginali.

La National Farmers Union (Nfu) del Canada chiede alle istituzioni canadesi di dichiarare i mercati contadini servizio essenziale permettendo loro di continuare a lavorare con tutte le garanzie di sicurezza. Molti mercati infatti sono stati chiusi per via delle misure di emergenza. Si riduce così anche l’accesso ad alimenti sani.

Analoga richiesta da parte dell’Associazione rurale italiana (membro di Lvc), la quale lamenta come il decreto Cura Italia trascuri il milione di aziende diretto-coltivatrici (capaci di fornire alimentai in modo decentrato e capillare) focalizzandosi sulle grandi imprese agricole. E, come la Confédération Paysanne, l’Ari chiede alle istituzioni di lavorare per «rifondare la ristorazione collettiva come perno per una produzione e alimentazione ancorate al territorio». Garantendo finalmente un’equa remunerazione al produttore.

Del resto «quando l’emergenza avrà fine, non saranno le immissioni di liquidità a determinare la ripresa, ma la capacità di contadini, artigiani, piccole e medie aziende. Se nel frattempo non saranno annientate».