In piena pandemia sanitaria si profila all’orizzonte anche una simultanea pandemia economica. La parola passa di volta in volta dai virologi agli economisti.

L’accusa di numerosi fra questi ultimi è risaputa: malgoverno e incapacità culturale del ceto politico – presumibilmente schiavo di ideologie stataliste oramai datate – di aver adottato nei decenni passati delle necessarie riforme in senso neoliberale, le sole che avrebbero dovuto rigenerare un sistema considerato sull’orlo del collasso.

È semplicistico e pericoloso attribuire il declino italiano prevalentemente al malgoverno e alla mancanza di riforme di stampo neoliberale. La tendenziale mediocrità del ceto politico è sotto gli occhi di tutti, ma è anche vero che sono proprio le riforme liberiste (ben lungi dal non essere state attuate) ad aver contribuito ad un progressivo smantellamento del welfare state, come in primis la sanità: l’emergenza coronavirus, lo sanno tutti, è aggravata proprio da tagli finanziari che oggi si traducono in un’insufficienza di posti letto nei reparti di rianimazione con il corollario di un drammatico (pure sul piano etico) razionamento nella somministrazione delle cure.

L’entusiasmo neoliberista è pericolosamente ideologico: è la tipica risposta di chi pretende di correggere le defaillances del neoliberismo iniettando nel sistema una dose ancora più massiccia di neoliberismo, come ai tempi in cui certi marxisti imputavano il ritardo economico dell’Urss a una troppo esigua dose di comunismo.

Il paradosso è che questo senso di disprezzo per il ceto politico è proprio il carburante del populismo contro il quale gli stessi economisti liberisti non cessano con “grande senso di responsabilità” di mettere in guardia.

Ma in questo momento drammatico non è forse pericoloso screditare il governo logorando quindi lo stesso legame fiduciario fra governanti e governati e seminando il panico? Crediamo piuttosto che l’Italia sia stato il primo paese a reagire con misure concrete (le tanto ammirate Francia e Germania la stanno “copiando”) e che uscirà (non si sa quando) da questa devastante crisi con una credibilità rafforzata.

È fuorviante inoltre aver interpretato l’esternazione di Christine Lagarde come semplicemente infelice, ossia aver tacciato il Governatore di inesperienza e inavvedutezza. La Governatrice invece non ha fatto altro che ribadire come la BCE, secondo i principi costitutivi dell’unione monetaria, non deve e non può interferire col mercato (ad eccezione di qualche intervento puntuale per fronteggiare ondate di panico passeggere) quando si tratta di valutare la solvibilità degli Stati aderenti: il mercato è sempre il giudice migliore. Lagarde sarebbe dunque, per molti liberisti, semplicemente un Governatore maldestro, mentre la dottrina economica che ispira la BCE continuerebbe ad essere comunque valida.

Ora la BCE opera una clamorosa retromarcia e annuncia una colossale iniezione di liquidità, un quantitative easing da 750 miliardi di euro di titoli, sia pubblici sia privati, da acquistare di qui alla fine del 2020. Ma sottolinea anche il carattere di eccezionalità della misura motivata dalla drammatica contingenza. Oltre ad non essere chiaro dove andranno esattamente quei soldi e nelle tasche di chi alla fine faranno ritorno (l’esperienza Obama docet), viene da chiedersi se si tornerà poi, daccapo, a credere fermamente nella capacità autoregolatrice del mercato, nelle sue virtù taumaturgiche, nel dogma normativo della neutralità della moneta.

Il Board della BCE che ora smentisce la sua Governatrice e la obbliga a un pubblico mea culpa non sembra un patetico adepto dell’omeopatia che accusa un medico di non aver somministrato una robusta dose di chemioterapia ad un malato di cancro e di averne provocato il decesso?

Proprio qui, secondo noi, si cela l’equivoco logico. Lagarde ha dimostrato, al contrario di chi l’accusa d’incompetenza, di essere perfettamente coerente con la dottrina su cui si fonda l’unione monetaria; lei è la sacerdotessa del liberismo, la sua devota vestale.

È piuttosto l’annuncio del QE a non far quadrare i conti fra teoria e pratica. In altre parole, se si smentisce Lagarde significa che il sistema non funziona, che il mercato è fallibile e che il QE dovrebbe diventare uno strumento non eccezionale bensí abituale di politica monetaria; se al contrario il sistema funziona, Lagarde ha detto il vero e ha sbagliato a scusarsi, mentre la BCE fa molto male a lanciare il QE.

Dunque? I chierici della fede liberista dovrebbero riconoscerlo con onestà e non cercare di cavarsela con espressioni understated e di circostanza. Si sa, il dio mercato è uno pseudo-demiurgo che lasciato a se stesso ha il vizio di generare catastrofi.