Kirill Moshkow, 1968, si occupa di jazz da un quarto di secolo. Direttore della prestigiosa rivista Jazz.ru ha scritto in lingua russa molti libri sull’argomento come I grandi del jazz (2009) e Il jazz russo (2013). Ha fondato il Centro di ricerca del jazz e dal 2019 conduce un corso di jazz e storia della musica popolare nel mondo presso l’accademia del jazz di Mosca.
Kirill Moshkow
Kirill possiamo dire che esiste un vero e proprio jazz russo?
Sì, anche se per lungo tempo chi voleva suonare jazz ebbe molti problemi. In primo luogo per i russi la musica ritmica era incomprensibile. La musica russa nasce come corale, la musica strumentale iniziò a svilupparsi nel XVIII secolo e solo dal 1820 circa si può parlare di musica in senso proprio. Pesava poi l’isolamento geografico e politico. Chi tentava di suonare jazz in Russia si basava solo sull’ascolto dei dischi e questo è un grande limite, il jazz va visto. Molte particolarità le comprendi solo quando lo vedi suonare. Inoltre andava immaginato il contesto in cui il jazz poteva essere fruito: quando nel 1926 arrivarono i primi gruppi Usa in Russia, la gente andava a vedere soprattutto le ballerine nere svestite. L’odessita Leonid Utesov giocò un ruolo decisivo in questo contesto perché dal 1928, dopo essere stato a Parigi, iniziò a proporre jazz che univa musica, ballo e ricreazione, un mix che rendeva la musica nera appetibile anche ai russi. In quanto ebreo egli sapeva fare musica non accademica visto che in Russia la sola musica «pop» era stata fino ad allora quella ebrea, oltre che quella zigana. Il primo jazz russo era soprattutto debole dal punto di vista del ritmo ma aveva delle sue peculiarità come per esempio nella cura degli arrangiamenti.
Quale ruolo ebbe lo stalinismo nel frenare lo sviluppo del jazz?
Paradossalmente negli anni Trenta il jazz ottenne il via libero da parte del partito. Nel 1937, in pieno «grande terrore», si sviluppò la cosiddetta «discussione della carta stampata» in cui si confrontarono da una parte l’Izvestija – con una posizione apertamente reazionaria – secondo la quale il jazz come musica «straniera» andava proibito e la Pravda che al contrario riconosceva a questa musica un ruolo positivo. A un certo punto, in questa discussione, intervenne personalmente Stalin sostenendo che il «jazz non era questione di partito» e appoggiando di fatto la Pravda. I casi di repressione di jazzisti furono casuali e limitati. Il vero attacco al jazz, avvenne dopo il conflitto tra il 1948 e il 1954 quando nel quadro della guerra fredda fu messo tra parentesi tutto quello che rappresentava la cultura occidentale e nella musica in particolare tutto ciò che richiamava il surrealismo, la dodecafonia, l’atonalismo divenne tabù. Fu proprio Zdoanov nel quadro nel tentativo di creare dei canoni culturali sovietici a indicare nel jazz un nemico da combattere. Successivamente, nel quadro del disgelo chruševiano, il festival mondiale della gioventù che si tenne a Mosca nel 1957, aprì una nuova fase per il jazz in Urss: giunsero molti giovani da diverse parti del mondo che certo erano musicisti dilettanti, ma suonavano jazz moderno a cui i russi non erano abitati. Ci fu ovviamente anche l’epoca degli stiliagi, ma loro ascoltavano solo jazz americano, erano refrattari a quello russo.
Con la perestrojka e la fine dell’Urss si può dire che il jazz è entrato nell’età adulta?
Sì, i musicisti russi si resero conto a partire dagli anni Ottanta di essere in grado di suonare il jazz come gli americani ma che era necessario andare oltre. Purtroppo la crisi sociale e economica degli anni Novanta impedì al jazz russo di fare nel suo complesso un salto di qualità. Oggi il gruppo più da «esportazione» in Russia è il LRK Trio: quando li senti capisci che si tratta di jazz russo. Poi naturalmente c’è Igor Butman che è un sassofonista celebre a livello internazionale. Ha lavorato a lungo negli Usa negli anni Novanta ed è colui che fa oggi di più per promuovere il jazz del suo paese. E non va dimenticata la Moscow Jazz Orchestra, una big band spesso in tournée per il mondo che è stata più volte al vostro Umbria Jazz. La Moscow ha ormai un proprio ampio repertorio di puro jazz russo e ognuno dei suoi componenti è in grado di fare degli assoli di alto livello. Ma c’è anche un grande «conservatore conseguente e radicale» difensore del modern jazz del jazz russo che va assolutamente ascoltato, ovverosia David Goloschkin, che dirige la Jazz Filarmonica di San Pietroburgo. Egli è un polistrumentista di eccezione e grande violinista. Quando nel 1971 Duke Ellington in turnée in Urss suonò con lui, rimase impressionato delle sue capacità esecutorie.
«Non emigrare in America – gli disse sornione – che non abbiamo voglia di finire disoccupati!».