«In cinque mesi abbiamo fatto tanto ma adesso è il momento di mettere il turbo». Il trionfalismo non ha mai fatto difetto ai 5S e Alfonso Bonafede, ministro della giustizia per la prima volta in veste di capodelegazione al governo, tiene alta la media un attimo prima di entrare a palazzo Chigi per il primo atto della da mesi promessa «verifica». Con lui, oltre al premier, gli altri tre capidelegazione, Dario Franceschini per il Pd, Tersa Bellanova per Italia viva, Roberto Speranza per LeU. Oddio, la promessa del capodelegazione a cinque stelle non è che autorizzi troppe speranze in un percorso accelerato: «Oggi si decide l’agenda degli incontri con cui si mettono nero su bianco gli impegni precisi che prendiamo nei confronti dei cittadini». In effetti il vertice avrebbe deciso di procedere per «gruppi di studio», tavoli separati, ciascuno dedicato a uno specifico argomento.

DA SOFIA, PRIMA di correre a Roma per il «confronto» di palazzo Chigi, Giuseppe Conte era apparso più galvanizzato: «Sarà un confronto molto intenso e serrato. La gente attende risposte in tempi molto più rapidi di alcuni mesi: quindi lavoreremo su tempi più ristretti». Di priorità, elemento base per qualsiasi lavoro voglia essere rapido ed efficiente, Conte però non parla. «I temi saranno tantissimi per ogni settore di attività. Infrastrutture, ricerca, sicurezza, interventi in campo fiscale, occupazione: abbiamo tantissimo da fare».
Messa così, più che un’agenda di governo si tratterebbe di un elenco delle urgenze. La definizione del «cronoprogramma», come il presidente del consiglio preferisce definire il percorso avviato ieri, dovrebbe servire proprio a scremare e selezionare, a decidere su cosa puntare subito. Ma anche a vertice iniziato, Conte conferma l’ottimismo: una foto con i quattro ministri e capidelegazione postata su Twitter. Parola d’ordine: «Procedere spediti, determinati e compatti».

IN REALTÀ SUGLI ELEMENTI cardine del programma ci sarebbe davvero, almeno sui titoli, accordo generale e compattezza. Il problema è che non si tratta di leggine facili da partorirsi. Ai primissimi posti ci sono la riforma generale della fiscalità, il green new deal e l’occupazione soprattutto giovanile e nel sud. Il primo è un progetto ambiziosissimo che dovrebbe prevedere, Matteo Renzi e parte del Pd permettendo, una progressività molto più articolata e segmentata di quanto non sia oggi. Il secondo figurava già in testa all’agenda stilata in agosto, ma per passare dalle parole ai fatti l’Unione europea dovrebbe accogliere la richiesta di non contare gli investimenti verdi nel calcolo dei parametri, e almeno sinora non sembra intenzionata a farlo. Quanto all’occupazione, è difficile immaginare un governo, di qualsiasi colore, che non ne auspichi una ripresa.

Accanto ai grandi indirizzi di fondo, però ci sono anche le divisioni provvedimento per provvedimento. Tenerle fuori dalla porta della «verifica» non sarà possibile. Renzi insiste sulla prescrizione e la via d’uscita indicata anche ieri da Conte, accantonare in attesa di completare «la riforma molto più ampia del processo penale», sarà difficilmente percorribile. Perché entro un paio di settimane dovranno essere dette parole definitive sull’ex Ilva e sulle concessioni autostradali. Ma anche perché per il Pd sta diventando questione di credibilità politica rimettere almeno mano ai decreti sicurezza. Nei colloqui che hanno preparato il vertice di ieri, incaricato di preparare i vertici a venire, quegli elementi sono già saltati fuori tutti.

CONTE GIURA CHE la situazione del Movimento 5 Stelle non interferirà con l’azione di governo. In realtà resta il nodo irrisolto di sempre, il carattere transitorio ed emergenziale oppure strategico e di lungo corso dell’alleanza che governa oggi il Paese. Conte ha sin qui trovato modo di non affrontare mai la faccenda. Anche quando si è speso a favore di una vera coalizione, lo ha fatto in nome dell’esigenza di combattere Matteo Salvini e la stessa definizione «cronoprogramma» è accettabile anche dai sostenitori del contratto, cioè dell’alleanza transitoria, come il capogruppo dei 5 Stelle al Senato Gianluca Perilli: «Con il Pd c’è un contratto e c’è un programma di governo. I punti non condivisi non entrano nel programma», afferma. Ma finché non sarà risolta questa ambiguità, dunque finché non si sarà concluso lo psicodramma dei 5S, procedere con l’unità e la celerità invocate da Conte non sarà facile.