Avevano addirittura lasciato un biglietto sulla macchina della vicina di casa. Andarsene senza disturbare troppo, un po’ come avevano vissuto. Romeo Dionisi, 63 anni, e Anna Maria Sopranzi, di cinque anni più anziana, si sono impiccati nella notte tra giovedì e venerdì negli scantinati del palazzo in cui vivevano, in via Calatafimi, a Civitanova Marche. A trovarli è stata una condomina, intorno alle 8 del mattino: passava di lì e ha notato la porta del fondaco aperta.

Il primo ad arrivare è Giuseppe, il fratello di lei. Ma non ha retto, qualcosa dentro di lui si è rotto definitivamente. «Dov’è finito?», si chiede il capannello di gente che si è formato davanti al garage, tutti schierati dietro le macchine dei carabinieri che cercano di sottrarre agli occhi della città la più crudele apparizione della crisi.

Passano pochi minuti e il 118 riceve una chiamata da un pescatore: «C’è un corpo in acqua». È lui, è Giuseppe. Provano a rianimarlo, ma i suoi polmoni sono pieni d’acqua e il suo cuore si è fermato da troppo tempo. Tre cadaveri in una mattinata, un conto tremendo da pagare agli anni peggiori della Repubblica. Entrati in scena con il boom economico, passati indenni tra scale mobili e licenziamenti selvaggi, i Dionisi si sono arresi alla macelleria sociale degli anni zero.

Dietro la parola crisi, oltre lo spread e i tentativi di fare un governo, c’è la disperazione autentica di una coppia senza via d’uscita. Lui era un operaio edile, dipendente di una ditta napoletana fallita a settembre e da allora senza stipendio. Un esodato, come si dice oggi, senza lavoro, troppo lontano dalla pensione e irrimediabilmente «troppo vecchio» perché qualcuno si convinca a dargli un posto qualunque. Lei portava a casa quello che poteva, la sua pensione da ex artigiana. Poche centinaia di euro che, ultimamente, non bastavano più nemmeno per pagare l’affitto. Niente figli per loro due, dietro di sé lasciano solo un ricordo sbiadito: «Una coppia normalissima – dicono i vicini -, sapevamo che avevano problemi economici, ma da queste parti, sa, siamo in molti ad averne». Il riflesso della crisi sul primo week-end primaverile della costa marchigiana, il sole batte sui caseggiati anonimi e riesce a renderli ancora più brutti del solito. Puliti e sciatti come solo le cose di provincia sanno essere, le parabole che spuntano come fiori dai balconi perché «senza la televisione manco prende».

Nel biglietto di addio tutta la disperazione per una vita che si era fermata: «Scusaci per quello che abbiamo fatto» e un numero di telefono, quello della sorella di Anna Maria, per avvertirla che, in un modo o nell’altro, per la famiglia Dionisi, la crisi è finita.

Nel palazzo della tragedia vive anche Ivo Costamagna, il presidente del consiglio comunale, che proprio ultimamente aveva invitato la coppia a recarsi in Comune, per parlare con i servizi sociali.
«Hanno preferito sparire piuttosto che chiedere aiuto – dice ai cronisti il sindaco di Civitanova, Tommaso Claudio Corvatta -, è un dramma sul quale dobbiamo interrogarci tutti e che richiede, lo dico esponendomi in prima persona, di produrre il massimo sforzo per cercare di risolvere il disagio economico che sta caratterizzando questo difficile momento storico». A fargli eco anche il governatore Gian Mario Spacca, con quella parola, «responsabilità», che affiora dalle labbra, è l’ultima moda delle dichiarazioni: «Di fronte a vicende simili, che purtroppo si ripetono in tutto il Paese, non possiamo non sentirci tutti chiamati alla responsabilità. Anche in regioni come la nostra, dove pure resta la solidarietà familiare e di vicinato, una forza di comunità e la vicinanza delle istituzioni locali, non si debba ancora tornare a piangere la morte di chi h a perso la speranza e il futuro».

Cinquecento euro al mese, ecco con quanto Romeo e Anna Maria riuscivano a sopravvivere, l’uomo non arrivava a versare i contributi previdenziali della sua partita Iva e le banche bussavano alle porte con insistenza sempre maggiore per due mutui parecchio indietro con le rate, ma lui «non voleva niente da nessuno, si vergognava pure di chiedere un euro».