Era il 17 aprile, quando i burocrati del ministero della salute (Balduzzi, ministro e costituzionalista non si è fatto vedere, forse sapendo che avrebbe dovuto vergognarsi) hanno incontrato l’Associazione italiana familiari vittime della strada e, prima sorpresa, hanno fatto trovare allo stesso tavolo i rappresentanti delle Assicurazioni. Oggetto della riunione: lo scandaloso decreto ammazza-risarcimenti che nell’estate del 2011 il governo Berlusconi aveva tentato di appioppare agli italiani.
Per inciso, non sfugge a nessuno la perfidia della data, alla stretta vigilia del voto per il Quirinale (18 aprile) che, guarda caso, ha oscurato per giorni qualsiasi altra notizia.

Lo scandalo è doppio. Prima di tutto, soltanto un paio di settimane fa, in un precedente giro di opinioni con l’Aifvs, si era lasciata intendere una timida disponibilità a congelare il decreto nella sua versione attuale.

Per chi non lo sapesse, il provvedimento è uno dei più antipatici che la storia governativa ricordi. Fu varato in tutta fretta, durante le ferie 2011, dopo che la Corte di Cassazione aveva sentenziato che facevano fede sul territorio nazionale le tabelle del danno predisposte dal tribunale di Milano. Che sono buone, certamente a favore della vittima dell’incidente (chiunque sia il responsabile), e riconoscono il danno morale e la personalizzazione oltre al danno biologico.

Su pressione dell’Ania, venne redatta una tabella unica nazionale che in pratica dimezzò i valori milanesi. Un esempio per tutti: un uomo di 35 anni che subisca un danno invalidante al 50 % (perdita del braccio e della mano), è oggi risarcito con una somma che varia tra i 384 mila e i 480 mila euro. Se la controversia viene chiusa fuori dei tribunali, ci si accorda intorno ai 420 mila. Ebbene, se entrassero in vigore le famigerate tabelle uniche, lo stesso uomo dovrebbe accontentarsi di 220 mila euro.
Le polemiche divamparono e se ne occupò direttamente il parlamento, approvando una mozione presentata dal deputato di Alleanza per l’Italia, Pino Pisicchio, che riportava sostanzialmente alle tabelle di Milano.

Ma l’Ania non si è data per vinta, e il decreto è di nuovo risorto, peraltro senza che siano state introdotte le modifiche richieste.

Diamo la parola a Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dell’Aifvs, che scrive nel comunicato successivo allo scambio del 17 aprile: «Gli esponenti del ministero hanno manifestato sin dall’inizio dell’incontro una sintonia con le posizioni assicurative…e non hanno voluto prendere atto che il decreto è superato dalla giurisprudenza e dagli atti parlamentari».

Peraltro, il decreto sarebbe decaduto ai sensi di legge poiché l’articolo 138 del Codice delle Assicurazioni Private, che lo prevedeva, concedeva al governo soltanto 24 mesi per redigere le disposizioni attuative: il Codice, per chi non lo sapesse, è del gennaio 2006…ergo, siamo fuori tempo massimo.

L’Aifs, appellandosi al presidente della Repubblica affinché non lo firmi, segnala in aggiunta l’assurda clausola della retroattività in base alla quale le tabelle ammazza-risarcimenti si applicherebbero anche ai contenziosi in corso. E, ciliegina sulla torta, sarebbero valide anche per i risarcimenti da mala-sanità, come previsto da un successivo decreto (158/2012, articolo 3, comma 3) dello stesso ministro-costituzionalista: per non fare torto a nessuno?

Notarella conclusiva: non lasciatevi ingannare dai lamenti dell’Ania, la quale ha nel frattempo alzato i premi nonostante siano in diminuzione i sinistri. Il lupo perde il pelo ma non il vizio.