I media nostrani si sono affrettati a salutare l’accordo tra Cina e Usa per quanto riguarda la riduzione delle emissioni, con molta enfasi. Si tratta di un passo in avanti, specie rispetto al recente passato, ma ci sono ancora tanti punti poco chiari.

Stupisce, se mai, la tanta rilevanza data a questo punto di avvicinamento tra i due paesi, insieme a tutta una serie di inutilità classiche quando si tratta di vertici e quando c’è di mezzo la Cina (dalle attenzioni di Putin alla moglie di Xi Jinping, al chewing-gum di Obama) senza mettere in adeguata evidenza quello che è stato il vero e proprio punto storico di questo Apec: la scelta dei paesi asiatici di seguire la Cina sul trattato di libero commercio, intimando un alt duro al Tpp obamiano, che tagliava fuori proprio Pechino.

Il vero punto di svolta, è dunque il fatto che l’intera regione asiatica appare fidarsi ormai sempre meno delle promesse americane, e sembra disposta a correre il rischio di affiancarsi alla Cina, sperando di gestire l’arroganza tipica di Pechino, quando si tratta di cooperare con i vicini di casa.

Il mondo multipolare fatica a essere compreso un po’ da tutti: alleanze storiche saltano, nemici ricominciano a trattare. Ma più di tutto, pare che sia il mondo dei media nostrani a faticare a concepire un mondo nel quale gli Usa non sono più l’Impero dominante. Se poi – effettivamente – la potenza americana subirà un crollo è tutto da vedere, ma una redistribuzione del potere in giro per il mondo appare ormai chiara. E la Cina si pone come potenza emergente anche a livello internazionale in modo determinato, ma non certo guerrafondaio.

Un mondo a guida americano era sicuramente più comprensibile; lo testimonia il fatto che, anche di fronte ad un evento asiatico-pacifico, ospitato a Pechino, con la partecipazione di Stati non certo irrilevanti, come Giappone e Corea del Sud, la nostra stampa continua ad affidarsi alle sole fonti occidentali, quando non direttamente americane, per cercare di comprendere la portata di quanto accaduto.

La lettura è dunque sempre univoca: ci viene raccontato cosa pensano gli americani del mondo. Cosa sappiamo di quanto si dice in Cina, Giappone, Corea? Figurarsi in Birmania. La decisione dei paesi asiatici di consentire uno studio di fattibilità di due anni al progetto di libero scambio cinese, unitamente ai tanti soldi che Pechino ha messo sul piatto (sia per rinsaldare la sua forza marittima, sia per rinforzare la via della Seta), indicano un cambiamento di rotta non solo negli equilibri economici e politici, ma anche in quelli culturali, di narrazione, di capacità di leggere la contemporanea complessità con lenti nuovi e affidandosi, specie oggi, periodo nel quale la mole di informazioni è decisamente ampia, anche ad altri punti di vista e capacità di leggere e analizzare gli eventi.

Che piaccia o meno il mondo è cambiato e dovrà mutare anche la sua narrazione.