Guerre Stellari, Il Ku Klux Klan, un film di genere molto atteso, quattro film da Sundance. Nonostante Spike Lee e Han Solo, la selezione USA a Cannes è abbastanza striminzita quest’anno. Un po’ in virtu’ del calendario, per cui quel cinema d’autore “istituzionale” che piace al festival francese tende a spostarsi verso l’autunno, in zona Oscar. Un po’ sicuramente perché’ l’incapacità di raggiungere un compromesso con Netflix ha significato il ritiro di tre o quattro film, già dati in cartellone – come Norway di Paul Greengrass e The Other Side of the Wind, il film postumo di Orson Welles, completato con la consulenza di Peter Bogdanovich. Scritto e diretto da David Robert Mitchell, l’altro film americano in concorso, Under the Silver Lake è il ritorno a Cannes del regista di It Follows, la scoperta della Semaine 2014. Sulla carta è un cherchez la femme, con Andrew Garfiled invaghito della nuova vicina (Riley Keough) che pero’ scompare. Sulle sue tracce Garfield viene risucchiato tra le spire di una Los Angeles particolarmente insidiosa. Da Sundance arrivano il bell’esordio di Paul Dano, Wildlife (Semaine de la Critique) e alla Quinzaine Leave No Trace di Debra Granick (vedi Alias del 17 febbraio 2018.) e Mandy diretto dal figlio del leggendario George Pan Cosmatos, Panos. Mentre nei classici viene ripreso, sempre da Sundance, il documentario Jane Fonda in Five Acts.

All American Nazis Next Door. I nazisti americani della porta accanto, è il titolo di un lungo articolo di “Rolling Stone” sulla nuova onda dei cosiddetti “gruppi dell’odio” che sa montando negli Stati Uniti, con baricentro in Florida. Secondo uno studio della George Washington University, tra il 2012 e il 2016 il traffico online dei movimenti nazionalisti bianchi è cresciuto, solo su Twitter , del 600 percento. Mentre il Southern Poverty Law Center, l’organizzazione che monitora circa 1600 gruppi estremisti riporta che, nel 2017, gli episodi di hate violence verificatisi nelle sei maggiori città d’America sono aumentati del 20% rispetto all’anno precedente.

Tra questi gruppi dell’odio, il Ku Klux Klan è il più antico e tristemente famoso. Indebolitosi a partire dagli anni settanta, il Klan, secondo il SPLC oggi conterebbe tra i 5000 e gli 8000 membri, distribuiti tra decine di “capitoli” locali. Ma il fatto che, rispetto alla svastica in vertiginoso aumento, il macabro cappuccio bianco del Klan sia un po’ passato di moda, non conforta: sempre secondo il SPLC, infatti, alcune fazioni del KKK hanno abbandonato i loro pronunciamenti più vistosi per integrarsi nel mainstream, sotto la bandiera di un neonato movimento per la “protezione dei diritti civili dei bianchi”.

In questo contesto, il film di Spike Lee BlacKkKlansman, uno dei due film americani in concorso a Cannes (è solo la terza volta per Lee, dopo Do The Right Thing e Jungle Fever) pur basato su una storia realmente accaduta all’inizio degli anni settanta, si annuncia come decisamente concepito per il presente. Dietro al nuovo lavoro del regista newyorkese sono Jordan Peele (creatore Get Out!) e il produttore/autore horror Jason Blum, responsabile della rinascita artistica di M.Night Shyamalan. Sara interessantissimo vedere come questo trio di sensibilità diverse ha affrontato la storia di Ron Stallworth, il primo poliziotto afroamericano di Colorado Springs, e il primo ad essersi infiltrato nel Ku Klux Klan. Arrivato, con famiglia, in Colorado dal Texas, nell’estate del 1972, Stallworth non aveva ancora vent’anni ma –ha raccontato in un’intervista a “Vice”- era già attratto dalla prospettiva di una carriera di poliziotto in borghese, magari nella narcotici, piena di colleghi “con barbe/capelli lunghi come hippies di San Francisco”. L’ingresso nel bianchissimo dipartimento di polizia locale non fu facile: “Continuavano a cercare di scoraggiarmi dicendo che mi sarei trovato nella posizione di Jackie Robinson (il primo giocator nero della NBL, n.d.r.), circondato da un’atmosfera di ostilità”. Insensibile agli ammonimenti, Stallworth (che rese nota la sua storia per la prima volta nel 2006, con la pubblicazione di un libro, Black Klansman) partecipò alla sua prima missione undercover, in occasione di una visita in città del leader Black Panther Stokely Carmichael, uno dei suoi idoli. Passato alla sezione intelligence del dipartimento Stallworth entro’ inizialmente in contatto con il Klan rispondendo via posta a un annuncio di giornale e presentandosi come un razzista accanito, a trecentosessanta gradi. Una settimana dopo la risposta arrivò sotto forma non di lettera, ma di una telefonata al numero usato per le operazioni undercover. Era il capo del capitolo locale del KKK. Entro breve gli chiesero un incontro. Dopo aver tergiversato per settimane, cercando nel frattempo di raccogliere informazioni sulle loro attività, Stallworth decise di mandare un collega bianco all’incontro, in vece sua.

L’inchiesta a quattro mani continuò per parecchi mesi, con un momento si suspense all’arrivo in città del Grand Wizard del KKK David Duke, con cui Stallworth aveva spesso parlato parlato al telefono. Inaspettatamente assegnato alla scorta di Duke dal capo dipartimento, Stallworth temeva che la sua voce lo tradisse. Ciononostante ebbe lo spirito di farsi fare una foto insieme al Gran Wizard e futuro candidato presidenziale e deputato della Louisiana. Alla domanda di “Vice”: hai mai simpatizzato con qualcuno dei membri del Klan con cui sei stato in contatto? Stallworth ha risposto: “No. Erano tutti degli stronzi. Degli idioti razzisti. Mi dispiaceva solo non poterglielo dire”. Nel film di Spike Lee, Stallworth è interpretato da John David Washington, e il suo alter ego bianco da Adam Driver. Tropher Grace è David Duke.