«Se noi occupiamo il Teatro municipale, che il resto si fotta». Nel Brasile di Bolsonaro, che Emicida accusa di necropolitica, secondo il pensiero del filosofo camerunense Achille Mbembe, il rapper riempie il maestoso teatro lirico di Sao Paulo. E «noi» significa gli afrodiscendenti, per un tempo lunghissimo di fatto esclusi dalla frequentazione del teatro che hanno costruito.

COSÌ SE, parafrasando James Baldwin, è vero come è vero, che la storia dei neri brasiliani è la storia del Brasile, è arrivata l’ora che siano loro a raccontarla. A occupare il teatro, dal palco alle tribune, dalle scalinate imponenti ai camerini. A raccontare come l’arte, e la musica, del Brasile, la sua costruzione e la sua architettura semplicemente non esisterebbero senza gli afrodiscendenti, senza gli indigeni. I 90 minuti del documentario AmarElo – é tudo pra ontem, sul concerto del novembre 2019 al Teatro municipale di Sao Paulo, prodotto da Evandro Fioti, il fratello e manager di Emicida, e diretto da Fred Ouro Preto, e disponibile su Netflix in tutto il mondo, diventano l’occasione per raccontare questa storia.

Per raccontare il samba, i suoi protagonisti, e il suo fluire nel rap, quello di Emicida, quello di tutti gli altri, prima di lui e domani. Per raccontare gli Oito Batutas di Pixinguinha che portano lo choro a Parigi nel 1922, e il samba che da Wilson das Neves atterra sul rap paulistano.

PER RACCONTARE il teatro che nello stesso 1922 ospitò la Settimana di arte moderna, quella di Oswald de Andrade e Anita Malfatti, Menotti del Picchia e Heitor Villa Lobos. La settimana che rovescia le regole e sovverte i canoni, alla ricerca di un’arte libera, popolare, moderna, modernista. E però fra i modernisti, non a caso, fa notare il musicista e ricercatore Rodrigo Caçapa, Emicida si sofferma solo su uno, Mario de Andrade. Gli altri, fra i quali Oswald, tanto celebrato dai tropicalisti, compaiono di sfuggita.

Mario era mulatto, omosessuale, l’unico «povero» del gruppo di intellettuali borghesi, il solo a non uscire mai dal Brasile. Il più coinvolto con le cosiddette «culture popolari», il più attento ai movimenti sociali. E, ancora, quello stesso teatro, le sue scale esterne, hanno ospitato la prima manifestazione del neonato Movimento Negro Unificado, in piena dittatura, nel 1978. Allora erano in 2000, oggi tre di loro sono in platea, si alzano in piedi, a prendere l’applauso, il pugno chiuso. Perché tutto è per ieri, tutto quello che faremo domani ha avuto effetti ieri.

UNA LEZIONE di storia, scrivono i commentatori brasiliani, gli spettatori, il pubblico, i protagonisti. Della storia che apprendiamo dalla musica, dal samba do morro, e non dai libri di scuola. Magari dagli scritti di Lelia Gonzalez, come ricorda Angela Davis. Perché tutto quello che abbiamo è noi.
E se questo popolo ha pianto e sanguinato sicuramente troppo, «l’anno passato sono morto, ma quest’anno io non muoio».