Per comprendere la rabbia e la determinazione degli autoferrotranvieri genovesi bisogna inquadrare le loro vicende dentro le politiche di bilancio e aziendali. Il taglio ai trasferimenti dallo Stato al comune di Genova viene da lontano e nei soli ultimi tre anni la riduzione supera i 100 milioni, a fronte di un bilancio annuale che si aggira sugli 800. Così il comune si trascina un debito di oltre 1.300 milioni. A fronte di queste cifre, il sindaco Doria rivendica l’immagine di comune virtuoso in contrapposizione a quelli spendaccioni. Nessuna volontà di rimettere in discussione quei vincoli di legge e di bilancio che sono le conseguenze dirette di scelte di rigore assunte su scala sovranazionale e che impediscono concretamente di operare nella gestione della cosa pubblica locale. La conseguenza sono i tagli ai servizi per mancanza di risorse.

Qui si inserisce la vicenda del trasporto pubblico. Un segmento strategico per le politiche locali in termini di modelli di urbanizzazione, di mobilità e di scelte ambientali. La storia di Amt, invece, è costellata di scelte che progressivamente andavano nella direzione del ridimensionamento e della dismissione nell’intento ufficiale di salvare l’azienda dal fallimento. La consueta logica del male minore. Le scelte di salvataggio così si sono orientate verso una prima privatizzazione nel 2005, vendendo il 41% dell’azienda trasporti a Transdev, azienda pubblica francese, che successivamente ha passato la mano a Ratp con un rimescolamento delle quote di proprietà che ha visto coinvolta anche la Cassa depositi e prestiti transalpina. Come per ogni processo di privatizzazione, uno dei rappresentanti del nuovo acquirente nel Cda di Amt aveva chiarito i termini della partecipazione: «Siamo qui per guadagnare non per perdere quattrini». Il risultato negli anni è stato la riduzione delle linee, l’aumento del biglietto, la messa in cassintegrazione di parte dei dipendenti (non prevista neppure dal contratto) e la messa in esubero di altri. Infine una riduzione degli stipendi. Nonostante questi provvedimenti il socio privato abbandona il campo, riprendendosi le quote investite. Il comune genovese è costretto a sborsare 22.6 milioni. Il calo dei ricavi, fisiologico a ogni aumento del costo del biglietto, e la mancata volontà del comune di condurre a termine il processo di privatizzazione, che implicherebbe lo scorporo tra linee appetibili per fare profitti e no e lo stravolgimento dei contratti di lavoro, inducono i francesi ad abbandonare.

Il fallimento di questa operazione non solo dimostra l’impossibilità di gestire con criteri privatistici un servizio pubblico come i trasporti locali, ma porta con sé altre controindicazioni indicative del mito “privato è meglio”. Infatti preliminarmente alla vendita c’era stato lo scorporo tra un’azienda dedita al trasporto e un’altra alla manutenzione e alle rimesse in cui si riversavano i debiti preesistenti. Per tale operazione la Corte dei Conti calcolava un indebito vantaggio per il soggetto privato costato alle casse comunali circa 70 milioni. E con l’arrivo del privato emerge un ulteriore scandalo. Era infatti in vigore la pratica di fornire premi fino a oltre 100 mila euro ciascuno ai manager e ricorrere a un eccesso di consulenze esterne, pratica che per l’ex presidente di Amt Martinetto avrebbe prodotto un aggravio alle casse dell’azienda nel periodo 2006-2009 di ben 10 milioni. Insomma la società deteriorava il servizio e incrementava le perdite contemporaneamente all’aumentare delle spese per i principali responsabili di tale involuzione industriale. Tutto ciò nell’impossibilità per il comune di accertare tale andazzo in quanto da semplice azionista riceveva i bilanci già revisionati.

Se a tutto ciò si aggiunge il continuo mancato rispetto degli impegni assunti con i sindacati sul piano della mobilità per rilanciare un progetto credibile di trasporto pubblico urbano, ce n’è abbastanza non solo per giustificare le mobilitazioni di questi giorni, ma anche per auspicare che l’alleanza lavoratori-cittadini possa invertire la rotta di un comparto tanto importante per cominciare a pensare una società diversa.