La lettura dei testi inediti del «penultimo Althusser» – quello degli anni Settanta, che continua a suscitare «un’ostilità sgomenta» come sottolinea G. M. Goshgarian nella sua introduzione a Essere marxisti in filosofia (Dedalo, pp. 248, euro 18) – può riservare qualche sorpresa. Almeno a coloro che non si sono fermati ai testi canonici del filosofo francese – Pour Marx e Lire le Capital – o che, successivamente, hanno posto l’attenzione sui materiali suggestivi, per quanto frammentari, degli anni Ottanta (anch’essi in gran parte inediti all’epoca) incentrati sulla corrente sotterranea del materialismo dell’incontro interpretandoli come l’ennesima rottura o radicale autocritica del pensiero althusseriano.

In effetti, leggendo questo testo del 1976, come rimarca G.M. Goshgarian, i legami tra l’ultimo e (non solo) il penultimo Althusser sono evidenti se è vero che l’unico testo pubblicato negli anni Ottanta – Filosofía y marxismo (un’intervista del 1988 di Louis Althusser con la filosofa messicana Fernanda Navarro) – vi trova un’ampia ispirazione e, d’altra parte, se già nel capitolo 16 di Essere marxisti in filosofia l’attenzione si focalizza sulla filosofia epicurea – «in netto contrasto con la tradizione idealista», come ricorda Althusser – matrice di quel materialismo aleatorio che probabilmente è la corrente sotterranea del pensiero althusseriano che tende ad assumere, nel tempo, diverse declinazioni e (ri)aggiustamenti.

IL TESTO rappresenta «l’eterna» lotta tra le due principali tendenze filosofiche – idealismo (dominante) e materialismo (dominato) –, per quanto mai presenti allo stato puro, passando in rassegna i principali esponenti e i dispositivi teorici forgiati nel campo di battaglia di una pratica che si vorrebbe distante dal mondo sensibile-materiale. Allo stesso tempo è un’operazione di decostruzione – Jacques Derrida è richiamato più volte – della tradizione filosofica idealista, in cui Spinoza figura come «grande filosofo materialista» nonché «il più grande di tutti i tempi». Se per Althusser la filosofia non è una scienza, non avendo un proprio oggetto, né dunque promuove conoscenze correlate con soluzioni, ma pone domande formulando tesi conflittuali per giungere a fornire determinate risposte con effetti a distanza su diversi campi, il carattere politico ne rappresenta un tratto indelebile, così come il rapporto con le scienze.

ALTHUSSER, in questo frangente, esplicita ulteriormente la sua tesi per cui essere marxisti in filosofia significa battersi nella teoria, rendendo visibile un ulteriore livello della lotta di classe, e quanto ciò dipenda da un legame con l’ideologia proletaria, il cui soggettivismo va orientato sulla base delle scoperte del materialismo storico, ossia le leggi che governano le società divise in classi con la centralità assegnata alla lotta di classe.

Su di esse s’innesta una pratica della filosofia e non una filosofia marxista, il cui carattere di sistematicità e di garanzia della verità – Althusser polemizza con i teorici marxisti (non escludendo le sue precedenti posizioni) con inclinazioni ontologiche e gnoseologiche – ne riproporrebbe il tratto in ultima istanza borghese e Stato-centrico (con riferimenti espliciti alla «deviazione staliniana» la cui vittoria rappresentava per Althusser «un inaudito ripiegamento teorico e filosofico, che possiamo considerare come una vera e propria disfatta»).

IL COMPITO STORICO del proletariato, in quanto classe non sfruttatrice, consisterebbe invece nella costruzione di una società senza classi, dunque senza sfruttamento, in cui lo Stato, strumento di riproduzione della divisione in classi, dovrebbe estinguersi per lasciar posto ad altre forme di comunità in cui abbia effettivamente corso «il libero esercizio delle pratiche sociali e delle idee umane». Approdo impossibile, secondo Althusser, nella sua elevata aleatorietà, se si abbandona il concetto della dittatura del proletariato a cui dedicherà, sempre nel 1976, un autointervista – Les vaches noires – in corso di traduzione a cura dell’Associazione Louis Althusser (a cui si affiancheranno un’antologia di testi politici althusseriani a cura di Fabio Bruschi e Andrea Cavazzini e una monografia di Irene Viparelli sul confronto Althusser/Negri). Di qui la difesa di un concetto che lasciava sul campo solo le opzioni riformatrici, via via sempre più incentrate sulla gestione dell’esistente in Occidente, o schiacciate sul Partito-Stato nelle società post-rivoluzionarie.

LA SOLITUDINE althusseriana, nella difesa di un concetto ormai considerato obsoleto, che designava un rapporto di forze e non un regime politico contrapposto alla democrazia, era la difesa, ci pare, seppure non priva di limiti, di un’apertura che probabilmente oggi neanche riusciamo ad intravedere o immaginare.