«Nei mesi estivi, qualunque allentamento delle misure preventive della pandemia in vigore nell’Ue all’inizio di giugno potrebbe condurre a un rapido e significativo aumento nel numero di casi positivi in tutte le fasce di età». È la sintesi poco allegra del rapporto del Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) pubblicato ieri, in cui si valutano le conseguenze della diffusione della variante “delta” e della variante sorella “delta plus” sul continente. Gli esperti dell’Ecdc paventano un «aumento dei ricoveri e dei decessi, che potrebbero raggiungere gli stessi livelli toccati nell’autunno del 2020 se non verranno adottati ulteriori provvedimenti».

Il monito dell’Ecdc piomba sul programma di riaperture che un po’ tutti i paesi stanno attuando. Se il 50% delle misure sarà eliminato entro l’inizio di luglio, si legge nel report, l’incidenza nell’Ue potrebbe tornare ai massimi storici di qui a ferragosto. Spalmare le stesse riaperture su un periodo più lungo rimanderebbe l’impennata solo di qualche settimana.

GLI SCENARI EMERGONO dalle simulazioni effettuate dagli esperti, che tengono conto delle caratteristiche della variante scoperta in India in aprile. Stime indipendenti ma concordi indicano infatti che la variante è più contagiosa del 40-60% rispetto alla “alfa”. Per ora, è dominante solo in India, Regno Unito e nella zona di Mosca in Russia. Ma entro la fine di agosto rappresenterà il 90% dei nuovi contagi in Europa.

I dati raccolti oltremanica mostrano che una sola dose di vaccino offre una protezione ridotta contro la variante, di poco superiore al 30% sia per Pfizer che per AstraZeneca. Con due dosi, invece, i vaccini dimostrano un’efficacia elevata e paragonabile a quella osservata contro le varianti già note. Dunque, sottolinea l’Ecdc, anche la popolazione che ha ricevuto un’unica dose va considerata a rischio. Si tratta di circa cento milioni di persone nell’Ue (quattordici solo in Italia), da aggiungere a oltre duecento milioni di europei (trenta in Italia) che non hanno visto nemmeno una dose. Vaccinarli prima possibile e in modo completo è l’obiettivo principale: «Per riuscirci, l’intervallo tra prima e seconda dose deve essere ridotto al minimo», cioè tre settimane per il vaccino Pfizer e quattro per Moderna e AstraZeneca. In Italia, Lazio e Puglia si sono già adeguate e stanno anticipando i richiami.

Le previsioni dell’Ecdc, per quanto utili, vanno prese con le pinze. Indovinare l’andamento dell’epidemia al di là di qualche settimana si è rivelato troppo difficile per gli epidemiologi.

IL MESSAGGIO PRINCIPALE che emerge dal report dell’Ecdc, tuttavia, è che i vaccini non sono per ora sufficienti a scongiurare nuovi focolai: troppo ampia è la fetta di popolazione ancora vulnerabile. D’altronde, gli studi che invitano a non sopravvalutare l’impatto delle vaccinazioni rispetto alle misure di prevenzione si accumulano. Una ricerca coordinata da Giulia Giordano dell’università di Trento e riportata dalla rivista Nature Medicine prevede che grazie a distanziamento, mascherine e altre limitazioni il numero di decessi di qui al 2022 potrebbe variare tra 18 mila e 30 mila unità, secondo la velocità delle vaccinazioni. Senza misure, i decessi previsti sarebbero fino a dieci volte più numerosi.

A conclusioni simili – ma riferite alla Cina – giunge anche una simulazione appena pubblicata dalla rivista Nature Human Behaviour e realizzata in collaborazione tra le università di Trento, Bloomington (Usa) e Shanghai (Cina). Su un piano più empirico, lo sta imparando sulla propria pelle il Regno Unito, dove la variante delta ieri ha fatto registrare oltre 16 mila nuovi casi positivi, come a inizio febbraio.

L’Ecdc sottolinea l’importanza di un monitoraggio virologico delle varianti in circolazione, con «campionamenti su base settimanale e di sufficiente ampiezza».

È L’ANELLO DEBOLE del nostro sistema di sorveglianza, che non ha ancora visto partire la rete di sequenziamento annunciata per la prima volta in gennaio. L’Ecdc offre a tutti i paesi la possibilità di campionare seimila ceppi virali a settimana nei propri laboratori. È inspiegabile che l’Italia non vi abbia fatto ricorso, visto che finora la nostra capacità di sequenziamento si è limitata a poco più di mille sequenze a settimana.