Lo ha annunciato lo stesso Boris Johnson in una conferenza stampa serale, dopo che la notizia circolava già sulla Bbc dalla mattinata: niente fine del lockdown il prossimo 21 giugno per la Gran Bretagna. Se ne riparla il 19 luglio, ma la decisione sarà rivista tra due settimane.
È per allarme Delta, la variante di turno. Ieri si sono fatti registrare 7.742 nuovi casi di Covid-19 e otto decessi a un mese da un tampone positivo, con un’impennata del 49% rispetto alla settimana precedente. Sono i valori più alti degli ultimi tre mesi, concentrati nel Lancashire e nel nord-ovest dell’Inghilterra. Ergo, l’anelato ritiro delle ultime restrizioni che separavano i britannici dalla «riapertura» completa, il 21 giugno prossimo, è posticipato di altre quattro settimane, in barba alla vaccinazione galoppante ormai di quasi tutta la popolazione adulta vantata dal paese.

E così, proprio in prossimità dell’arrivo in stazione, Johnson tira il freno d’emergenza. «Una scelta difficile», per cercare di capire come la popolazione reagisce alla neo-variante, ora che è in buona parte vaccinata. Ancora un mese, per riuscire a somministrare altri dieci milioni di richiami e rafforzare la resistenza al virus, che è aumentata, visto che finora meno del 5% dei casi finisce in ricoveri: la metà rispetto alle ondate precedenti. Finora, 41 milioni di cittadini hanno ricevuto almeno la prima dose, e altri trenta entrambe le dosi. Puntare all’immunità, insomma: di gregge o meno che sia.

La misura – che deve essere comunque votata in parlamento e sicuramente galvanizzerà la fronda “libertaria” della destra Tory – significa locali notturni ancora sigillati, eventi sportivi e spettacolari a numero limitato o chiuso, matrimoni e visite ridotti nella partecipazione quando non del tutto cancellati. Tutte attività in bilico sull’abisso del fallimento e che erano pronte a – e smaniose di – riaprire. L’estensione del lockdown significa la cancellazione di 5mila concerti, in un comparto rilevante dell’economia nazionale. Tanto che già fioccano le dichiarazioni di disobbedienza. Come quella del compositore Andrew Lloyd-Webber, «pronto a farsi arrestare» pur di riaprire i suoi teatri il 21, cui si accodano altri impresari teatrali, associazioni di categoria della ristorazione, ospitalità e locali notturni pronti a portare la faccenda in tribunale pur di non perdere altri soldi. Neo-nuziale lui stesso, Johnson si e lasciato sfuggire che rilasserà le regole sui matrimoni. Ma tanto decisionismo non piace nemmeno da un punto di vista costituzionale: lo speaker della Camera dei Comuni Hoyle – il successore dell’idolo dei remainer John Bercow – ha definito «inaccettabile» la richiesta del governo di annunciare la decisione urbi et orbi come fatto compiuto, prima di averne informato il parlamento. Questo senso di sottoutilizzo – quando non di superfluità – del parlamento dimostra quanto Brexit e Covid abbiano spostato l’ago della bilancia dei poteri abbondantemente dalla parte del governo.

In ogni caso, la cautela del Primo ministro non sorprende. Sembra superfluo ricordare che il Boris Johnson sfuggito alle grinfie del Covid e l’attento temporeggiatore che si prende un altro mese sono la stessa persona. Il Johnson sopravvissuto – anche politicamente, visto che anche solo la sottovalutazione dell’inizio pandemia sarebbero bastati a rompergli le uova nel paniere sondaggistico – al virus sa fin troppo bene che è meglio non peccare di troppa sicumera. Ancora un po’ di pazienza chiede, poi basta. Ha escluso che ci saranno altri ritardi. Ma la paura che dopo l’estate si ricominci è diffusa.