Il film apre su un’inquadratura sgranata dello Sea Sheperd che incrocia le acque del Golfo di California prima dell’alba. Nell’oscurità gracchia la radio di bordo: sono state avvistate due Pangas – le rapide barche da pesca messicane. Dal ponte viene lanciato un drone che trasmette allo schermo verdastre immagini infrarosse. Si tratta di bracconieri. Una delle sue barche lascia la rete e parte a tutta velocità verso la costa – l’altra però punta la Sheperd: non hanno buone intenzioni. Avvertita da un SOS, arriva una motovedetta della marina messicana che intercetta i banditi e dà caccia al motoscafo che si lancia nella notte inseguito dal fascio di luce dei militari. Le imbarcazioni saltano sulle onde, rischiano la collisione.

L’APERTURA AL CARDIOPALMA DI SEA OFF SHADOWS sembra quella di un James Bond o meglio di un thriller di Don Winslow, dato che ciò che si annida nelle ombre del Mare di Cortez è un business che fa capo alle stesse mafie criminali che negli ultimi decenni hanno trasformato il Messico settentrionale nel martoriato campo di battaglia delle cocaine wars.

Diretto dall’ austriaco Richard Ladkani, regista specializzato in film a tema di conservazione animale e ambientalismo (Jane’s Journey, The Ivory Game), è un documentario coinvolgente ed emozionale sugli effetti della pesca illegale del totoaba – grosso pesce endemico di questo estremo angolo settentrionale del golfo interno che divide il Messico continentale dalla filiforme penisola della Baja Calfornia.

Un business che, come quello del contrabbando di avorio già documentato da Ladkani in Ivory Game, ha il suo capolinea commerciale in Cina e produce effetti ecologici devastanti nel suo terminale locale. La caccia al totoaba ha lo scopo procacciarne la vescica natatoria, pregiata in Cina per i presunti effetti miracolosamente salutari. La domanda è tale che gli organi interni degli animali (regolano il galleggiamento) possono pesare un paio di chili e valere fino a 5.000 dollari all’origine. Una volta essiccati e giunti a destinazione, sul mercato cinese il prezzo può arrivare a $70.000.

Non è un caso che i totoaba siano noti ormai come «la cocaina del mare» e che la loro pesca illegale, lo smercio e il contrabbando generino cifre da capogiro, controllate dagli stessi cartelli. Gli effetti di questa economia sommersa sono la stessa prorompente violenza, corruzione e degrado sociale della droga.

IN QUESTO CASO PERÒ NON È TUTTO, c’è una ricaduta ecologica ancora più devastante. Le reti usate per la pesca sommerse illegalmente a centinaia in queste acque straordinariamente ricche che Jacques Cousteau definì «l’acquario del mondo», intrappolano specie di ogni tipo senza alcun riguardo. Nell’ecatombe muoiono tartarughe, pesci, delfini e cetacei e, soprattutto, più tragicamente, le Vaquitas, le focene del Golfo di California. A lungo sotto pressione ambientale, le sorti di questo piccolo cetaceo (cugino del delfino), sono oramai appese ad un filo dato che ne rimangono, si stima, meno di 20 esemplari e sembra davvero che solo un miracolo possa salvarle dall’estinzione cui paiono destinate.

IL FILM NARRA LA VICENDA COL SENSO DI URGENZA che merita, intrecciando parallelamente le storie delle operazioni per salvare gli animali e quelle per fermare il bracconaggio. La prima riguarda il tentativo di un team di oltre sessanta biologi, militanti e volontari per cercare di catturare le vaquita e metterle al sicuro prima di rilasciarle nuovamente nel loro habitat quando fosse eventualmente messo in sicurezza – un’operazione enormemente complessa di per sé che attivisti e scienziati si trovano a dover tentare sotto la minaccia costante della mafia del totoaba. Allo stesso tempo un team di giornalisti e investigatori guidato da Andrea Crosta, un attivista italiano con alle spalle molti anni di esperienza nella lotta al commercio illecito di specie animali in pericolo, segue la pista di indizi, informatori e pentiti che tracciano i contorni del gigantesco business illecito costruito sul fiume di denaro proveniente dalla Cina e sostenuto dalla corruzione endemica che sfrutta la povertà di popolazioni relegate al sottosviluppo.

È UN’EQUAZIONE FAMILIARE CHE LADKANI dota di un forte impulso narrativo e un incalzante senso di urgenza. Crosta ha già collaborato con lui su Ivory Game ed ha un curriculum che è un po’ Jane Goodall e un po’ James Bond.

Fondatore della startup e-commerce Think Italy è stato anche la forza motrice della società zoologica la Torbiera, promotrice di iniziative anti bracconaggio in Russia ed Africa. Consigliere della Africa Conservancy Foundation ha anche fondato WildLeaks che si propone di fungere da wikileaks per le malefatte ambientali. Assieme a diversi giornalisti messicani ed ex agenti di intelligence, qui lo vediamo all’opera mentre dà appuntamento in mezzo al deserto ad informatori col volto e la voce oscurati alla ricerca del punto di congiunzione fra trafficanti cinesi e contrabbandieri messicani. Visita villaggi nella morsa dell’omertà imposta dai cartelli e chiede conto alle autorità dell’impunità di cui godono i mafiosi.

UNA TRAMA AVVINCENTE CHE SI SNODA sullo sfondo dei paesaggi lunari della Baja California in località come Santa Clara e San Felipe sul litorale in cui il deserto spettacolarmente brullo si tuffa nello specchio ceruleo del golfo, per raggiungere poi le strade di Tijuana e quelle di Hong Kong.
Nel frattempo, in mare, il piccolo esercito di conservazionisti tenta di raggiungere le vaquitas prima che le ultimissime periscano nelle reti dei bracconieri, una corsa contro il tempo che equivale a cercare una manciata di aghi in uno sterminato pagliaio blu. Gli animali sono rari e misteriosi al punto di non essere mai state filmate sott’acqua allo stato brado. E quando avviene infine un avvistamento e l’eventuale cattura di un’esemplare, sa di evento storico ancorché forse futile dato che come spiega la veterinaria della spedizione non è affatto certo che la specie possa sopravvivere in cattività – né che ci sia ancora il tempo – o ci sia la biodiversità necessaria a permettere una ripresa della popolazione

LA STORIA NON È ANCORA FINITA, i «pirati buoni» dello Sheperd continuano l’opera a favore di cetacei e balene sabotando le reti dei bracconieri. Alcune «parti sane» delle autorità tentano di contrastare la malavita organizzata – pur in perenne ritardo sulla endemica corruzione che le affligge. Ma il documentario alla fine trasmette il senso di un documento finale, della cronaca di un’estinzione annunciata che sta avvenendo sotto gli occhi di tutti e che preannuncia molti altri simili necrologi più ci addentriamo in quella che potrebbe essere la «sesta estinzione» – quella che nei prossimi decenni potrebbe registrare la scomparsa del 75% delle specie animali. La tragedia della vaquita sta accadendo in un ecosistema particolarmente fragile: a pochi chilometri dal (ex) delta del Colorado, il fiume che una volta alimentava uno degli habitat più biodiversi dell’emisfero ma che da quando è stato letteralmente prosciugato dall’ipersviluppo demografico ed agricolo (soprattutto a nord del confine americano) non arriva più nemmeno al golfo, spegnendosi miseramente in un canale di irrigazione a 50 km dalla costa.

COME IN QUEL CASO, L’ESTINZIONE «IN TEMPO REALE» delle vaquitas è legata in modo particolarmente diretto alle modalità di consumo ed abuso delle risorse e alla colpevole disinvoltura verso il pianeta nel momento di un accelerazione ormai palpabile, un momento che richiede ineluttabili decisioni.
Sea of Shadows – prodotto dalla Apian Wat di Leonardo Di Caprio – punta il dito contro i danni provocati da un «libero mercato» che ingigantisce avidità ed assuefazioni di massa e le diseguaglianze sociali a servizio del potere assoluto del denaro. Con buona pace del pianeta.