Upyr, informa A. K. Tolstoj, cugino alla lontana di Lev Nicolaevic, nella prima pagina del suo omonimo racconto pubblicato nel 1841, è il termine originale trasformato poi nel comunemente usato «vampiro». Il Vampiro, è effettivamente il titolo italiano del racconto, rieditato da Elliot nella traduzione di Luigi Volta e Fiammetta Caravelli, con una introduzione del critico russo Vladimir Solovev datata 1899 (pp. 117, euro 13.50).

LA PRECISAZIONE non ha valore solo semantico. Ricorda che il mito del succhiatore di sangue è slavo: ripreso e riadattato poi a molteplici scopi narrativi nell’Europa occidentale. Tolstoj intende dichiaratamente restituire il modello eterno del conte Dracula, ispirato del resto da un feroce aristocratico valacco del 1400, le sue radici originali. Quando Tolstoj scrive, il poema tedesco Der Vampir, di Heinrich Ossenfelder era stato pubblicato da quasi un secolo e The Vampyre, del medico di Byron John Polidori, era stato un successo travolgente oltre vent’anni prima. Dietro l’angolo c’erano la vampira lesbica di Le Fanu Carmilla (1871) e il classico di Bram Stoker Dracula (1897) che con la sua metafora apertamente sessuale avrebbe aperto i cancello all’invasione di non morti mai più esauritasi e tuttora in corso.

Gli «Upyr» di Tolstoj sono diversi, e non solo nel nome. L’autore russo lo dimostra sia in questo racconto che nel contemporaneo, ma pubblicato solo nel 1884, La famiglia Vurdalak, già edito da Elliot. Appuntamento fra 300 anni, che esce accluso al Vampiro, costituisce invece una sorta di prologo proprio di Vurdalak.

UPYR È UNA VERTIGINOSA SAGRA del fantastico: onirico, volutamene esagerato e spesso involontariamente ingenuo ma dotato ugualmente di una notevole forza narrativa, popolato non solo da succhiatori di sangue ma anche da fantasmi, dèmoni, case stregate, con due trame distinte ma intrecciate e confluenti che si dipanano una a Como e l’altra a Mosca. Il nucleo dell’intrigo, quel che collega le diverse storie e la moltitudine di effetti mirabolanti, è una canzone che racconta una storia antica di amore, sangue e dannazione. Quella del sortilegio che lega diverse generazioni è una componente che la vampirologia dell’Europa occidentale e poi degli Usa ignorerà quasi ma che è ripresa invece magistralmente da Coppola nel suo Dracula di Bram Stoker, che differisce dal testo originale dell’autore inglese solo perché inserisce questo versante e lo potenzia fino a fare del romanzo di fine ’800 quasi una storia d’amore, come del resto questo racconto di Tolstoj.

In Vurdalak, invece, compare un altro aspetto della vampirologia originale dell’Europa dell’est. Il vampiro non è elegante, non è magnetico, non nasconde dietro i canini aguzzi il richiamo sessuale. I Vurdalak sono una famiglia di poveri contadini che attende il ritorno del capofamiglia, consapevole del fatto che, se arriverà oltre una data ora, non sarà più lui ma una bestia assetata di sangue. È il vampiro delle tradizioni popolari, non quello dei castelli vittoriani. Un mito feroce e straccione che evidenzia l’affinità originaria tra le leggende vampiriche e quelle sui lupi mannari.

Ma la forza del vampiro, ciò che lo ha reso la figura più diffusa, sia pure spesso sotto mentite spoglie, della letteratura gotica di ieri e di oggi è il suo trasformismo, la sua capacità di assumere diverse forme e distinti significati. Lo conferma La fioritura di una strana orchidea, il racconto breve di H.G. Wells contenuto in una raccolta di sei racconti gotici di grandi autori dell’800 pubblicata ancora da Elliot: La casa stregata (pp.124, euro 14.50). A succhiare la linfa vitale del protagonista, qui, è una pianta, ed è impossibile non rintracciare in queste poche pagine un modello che sarà poi ripreso in una quantità di romanzi e film, in particolare dalla Cosa di Howard Hawks.

IL RACCONTO che dà il titolo alla raccolta è di Edith Nesbith ma una dimora maledetta figura anche nel testo di Elizabeth Gastkell e, come abbiamo visto, nel racconto di Tolstoj. Si tratta di un altro luogo comune del sovrannaturale, popolare quasi quanto il Nosferatu: perché quella che Eliot offre, volume dopo volume, è a tutti gli effetti la genealogia del moderno horror.