Sea-Watch 3 è libera: dopo oltre tre mesi di detenzione illegale nel porto di Malta, sabato scorso l’imbarcazione dell’omonima ong tedesca ha ripreso il largo. Un momento importante per tutto il team della nave – battente bandiera olandese – e per i vertici dell’organizzazione che dal 2 luglio lottavano affinché venisse rilasciata. «Nonostante sia un sollievo rivederla in mare, proviamo un po’ di frustrazione perché siamo stati costretti a combattere una battaglia legale che non doveva essere combattuta. Si è trattato di un lunghissimo sopruso e il fatto che abbia potuto lasciare il porto non rappresenta una vittoria: era un nostro diritto», commenta Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch Italia.

Dopo il fermo, la SW3 era stata sottoposta a diverse perizie tecniche che ne accertassero l’adeguatezza strutturale. Nessuna delle ispezioni aveva rilevato difetti, motivo per cui il blocco è stato vissuto come un abuso. «È curioso che ci abbiano lasciati andare ora, quando hanno saputo che la nave ha bisogno di uno scalo tecnico in Spagna. Paradossalmente, il fatto che non torni in acque Sar a salvare vite rende più tranquilli sia Malta, sia gli altri Paesi che ne hanno voluto il fermo», aggiunge Linardi. Per il momento non sono previste nuove missioni nel Mediterraneo, anche a causa del rimpallo di responsabilità tra gli Stati europei sul tema immigrazione: «Non dobbiamo stare in mare a tutti i costi, né tantomeno vogliamo prestarci a questo braccio di ferro tra i governi», dice la portavoce, che riferisce di una fase di riflessione e pianificazione sull’immediato futuro, pur ribadendo la loro missione: «Salvare vite e richiamare alla responsabilità quelli che dovrebbero gestire l’emergenza».

Ancora incerti anche sull’ipotesi di fare causa al governo maltese per il blocco ingiustificato. «In questi mesi, pur essendoci avvalsi di avvocati affinché il nostro diritto a tornare in mare venisse riconosciuto, non abbiamo intentato alcuna azione legale. Sapevamo che questo avrebbe allungato ulteriormente i tempi del nostro rilascio». Tuttavia, la ong sta valutando la possibilità di chiedere a Malta un indennizzo per i danni subìti. E anche se quello più grande non è risarcibile – sono 5-600 i dispersi in mare solo nei mesi in cui la SW3 è stata ferma – Sea-Watch non sembra volersi arrendere: «È giusto che venga fatta giustizia. Andremo avanti consapevoli che La Valletta non è più un luogo affidabile, per cui valuteremo se trasferire la base logistica altrove» (SW3 ha il proprio centro di coordinamento a Malta).

L’attività, comunque, non si è mai fermata: nonostante lo stop abbia riguardato anche «Moonbird» (velivolo di proprietà della svizzera HPI – Humanitarian Pilot Iniziative, a supporto dell’ong nell’attività di ricerca), da alcune settimane l’aereo ha preso posto accanto a «Mar Jonio», l’imbarcazione della missione italiana «Mediterranea» salpata lo scorso 4 ottobre dal porto siciliano di Augusta.

Con l’approvazione del dl sicurezza, i margini della protezione umanitaria in Italia si sono ulteriormente deteriorati: «Resisteremo anche a quest’ultima stretta legislativa perché la difesa della vita è il principio base della nostra società. Quello che abbiamo visto in mare ci rende testimoni di ciò che accade e che – evidentemente – chi fa politica ignora, altrimenti non lascerebbe morire migliaia di persone in acqua o intrappolate in Libia».