«Il Sacco trafigge la terra che calpesto» cantano i Plakkaggio Hardcore, gloria locale di Colleferro conosciuti nell’underground di tutto il Paese. A Colleferro, in riva al Sacco, ci si arriva dall’autostrada, uscita Valmontone. Qui si passa in mezzo a colline vere e città di cartapesta, le piazze di plastica delle new town commerciali dell’outlet e le torri di marzapane del luna park MagicLand. Un paesaggio spiazzante ma all’apparenza pacificato. Questa dell’omicidio di Willy Monteiro è una storia che va messa coi piedi per terra, dentro luoghi trafitti, come dice la canzone, e dentro spazi che oscillano in mezzo all’Italia e come tutto il Paese tra futuri promessi e arretratezza che incombe. È una tragedia figlia difficile da incasellare nel cosiddetto «degrado delle periferie» (di cosa sarebbe «periferia» questa cittadina di più di 20 mila abitanti?) o da ascrivere all’anomia dei non luoghi (qui scorrono pezzi di storia e frammenti significativi di lotte).

COMINCIAMO DAL LUOGO del delitto: a Colleferro il sindaco Pierluigi Sanna, eletto in una lista di centrosinistra, annuncia con parole che paiono provenire da un’altra epoca, che «le sirene delle fabbriche segnaleranno il lutto cittadino». Colleferro è industriale, almeno da quando nel 1913 Leonardo Parodi Delfino sorvolando in aereo il centro Italia decise che qui avrebbe insediato un pezzo della sua industria bellica. Da allora questo comune ha cominciato a caratterizzarsi come avanguardia manifatturiera in terreno ancora agricolo. Le ciminiere in mezzo ai borghi più tradizionali. Questa modernità ha comportato posti di lavoro e fumi tossici: dopo gli esplosivi dei Parodi Delfino sono arrivati gli stabilimenti di insetticidi e anche i capannoni dai quali sferragliavano fino al 2011 i Minuetto, i treni regionali la cui costruzione dal 2011 è passata ai francesi. Resta la schiuma bianca del fiume Sacco e lo stato di emergenza ambientale dichiarato nel 2006 e prorogato fino a oggi.

PROSEGUIAMO con la vittima. La contraddizione tra la città-fabbrica e i borghi confinanti si riconosce anche nella storia di cronaca nera dell’omicidio di Willy Monteiro. Basta prendere la mappa e tracciare le linee tra comuni limitrofi e storie differenti. Monteiro sabato notte avrebbe preso la macchina e sarebbe tornato qualche chilometro più a sud, a Paliano. Avrebbe percorso la strada della città fabbrica fino a lasciarsi alle spalle la città metropolitana di Roma e guardare alla provincia di Frosinone. Confine, quest’ultimo, che per lunghi anni è valso a questo territorio la possibilità di avvalersi dei finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno e dei buoni uffici del democristiano Giulio Andreotti, che al di qua della Valle aveva il suo collegio elettorale e che a Segni, a qualche chilometro da Colleferro, aveva i suoi antenati e trascorreva buona parte delle sue vacanze.

 

TUTTE QUESTE ZONE avvolte da veleni purtroppo non solo metaforici e neppure recentissimi ci portano ai giorni nostri. «Il fiume Sacco emanava un tanfo che ogni respiro era come se una cannonata mi avesse trapassato il torace», racconta nel suo romanzo Segni d’oro Domenico Starnone, che a metà degli anni Settanta aveva insegnato in un istituto tecnico di Colleferro. Molte delle ciminiere e delle bocche di sfiato che generavano quel tanfo oggi fanno parte dell’archeologia industriale, reperti di un passato prossimo che ricorda la prima repubblica e disegna una geografia che dall’ex Snia di Colleferro insegue il sogno avvelenato dell’industria fino alla Ciociaria.

POI, CI SONO i (presunti) carnefici. La villa dei fratelli Bianchi, due dei quattro arrestati per il pestaggio che ha ucciso Monteiro, si trova ad esempio nella contrada di Colubro del paese di Artena, che ha mantenuto i tratti del borgo e delle tradizioni locali. C’è chi sostiene che la ferocia che ha ucciso il ventunenne nella notte tra sabato e domenica scorsa sia figlia dell’estremismo o magari della degenerazione di una presunta «movida» di provincia, ma da queste parti ti raccontano che i pestaggi del branco sono cominciati in occasione delle celebrazioni folkloristiche e poco alla moda come il Palio del somaro. Ancora una volta la tensione tra tradizione e modernità.

«COLLEFERRO È LA CITTÀ del conflitto, prima degli operai di fabbrica e poi delle lotte ambientaliste», spiega l’attivista Alessandro Coltrè, che insieme ai suoi concittadini dopo quindici anni ha vinto la lotta contro la mega-discarica. Nella zona del paese che secondo le statistiche ha conosciuto dal 2008 il maggior incremento della disuguaglianza sociale, Alessandro e i suoi compagni ci tengono a dire che la terribile morte di Willy parla di un territorio che rischia di cedere alle droghe e al gangsterismo come modello di sviluppo alternativo alla fabbrica. E che gli argini a questo smottamento sono gli stessi che, in nome della salute pubblica e del bene comune, hanno provato a sciogliere il nodo irrisolto e spesso rimosso tra sviluppo e arretratezza dentro al quale sono cresciuti i mostri della contrada accanto.