«L’apertura di una procedura per deficit eccessivo è giustificata». La mazzata è arrivata e il fatto che fosse prevista non la rende meno pesante. Anche perché i toni con i quali i commissari Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis la annunciano rendono evidente la volontà della commissione, spalleggiata dall’intera Ue, di usare il pugno di ferro, appena camuffato dalle manifestazioni di «dispiacere» e dagli auspici di dialogo.

MA LA REALTÀ È MOSCOVICI che definisce «particolarmente grave» il «non rispetto delle regole di bilancio» da parte dell’Italia. E’ la requisitoria scritta per bocciare le giustificazioni del governo di Roma: «Le condizioni macroeconomiche non possono essere invocate per spiegare gli ampi divari rispetto al parametro di riduzione del debito», «I piani del governo implicano un notevole passo indietro sulle riforme strutturali». La realtà è l’avvertimento minaccioso di Dombrovskis, «credo che la manovra porterà nuova austerità», e l’annuncio di una possibile anticipazione del verdetto finale dell’Ecofin prima della fine dell’anno.

I mercati non hanno preso male la minaccia europea: lo spread è sensibilmente calato, tornando sotto i 310 punti. Dipende probabilmente dal fatto che, come ormai d’abitudine, l’avvio della procedura era già stato fatto scontare in anticipo. Ma la tempistica del ribasso ha ugualmente una sua potenza rivelatrice: mette a nudo la natura essenzialmente politica, pur se travestita dalla freddezza dei calcoli economico-finanziari, dello scontro in atto. Né la Ue né il governo italiano hanno fatto nulla per uscire dal braccio di ferro su un puro feticcio, quel 2,4% di deficit diventato, per gli uni come per gli altri, una bandiera.

IL LEADER DELLA LEGA Matteo Salvini ha risposto secondo copione, cioè a muso duro: «Ora aspetto anche la lettera di babbo Natale. La procedura è una mancanza di rispetto per il popolo italiano: noi andiamo avanti». Il ministro dell’Economia Tria si è «rammaricato», ha segnalato che «la drammatizzazione del dissenso tra Italia e commissione» danneggia sia l’economia italiana che quella europea e che pertanto si continuerà a dialogare «alla ricerca di una soluzione condivisibile». La quale, come lo stesso Tria sa bene, è impossibile proprio perché il conflitto è politico e la Ue intende punire, ancor più dei conti italiani, la disobbedienza ostentata, il rifiuto di riconoscere l’autorità di Bruxelles e poi trattare, come avevano fatto i governi Renzi e Gentiloni ottenendo in cambio 30 miliardi di flessibilità.

IL PREMIER Giuseppe Conte si prepara a incontrare sabato il presidente della commissione Jean-Claude Juncker, ma da palazzo Chigi filtra l’intenzione di non rimettere in discussione i capisaldi della manovra. Il colloquio servirà a poco e altrettanto inutili saranno le eventuali limature che il Parlamento apporterà alla legge di bilancio. Non sono modifiche quelle che vuole Bruxelles, ma una revisione radicale della manovra, sia nella quantità, i saldi, che nella qualità, le riforme. Il procedimento «passo dopo passo» di cui ha parlato anche ieri il commissario all’Economia Moscovici, nelle condizioni date, porta inevitabilmente a uno scontro finale estremo.

I PASSI IN QUESTIONE sono il parere, entro due settimane, del Comitato economico e finanziario Ecofin. Pura formalità: concorderà senza dubbio con quello della commissione. La quale, a quel punto, «raccomanderà» formalmente a Ecofin, con voto a maggioranza, di aprire la procedura, non per deficit ma, caso sinora mai verificatosi, per debito. La risposta, scontata in partenza, arriverà entro l’anno o al più tardi il 22 gennaio. A quel punto verrà chiesta una manovra correttiva e indicato un percorso di rientro dal debito concordato, modulabile quanto a durezza nelle trattative tra Italia e commissione. In soldoni un commissariamento. Sarà quello il momento culminante di uno scontro che potrebbe mettere in forse, ove l’Italia rifiutasse di ottemperare al diktat, la permanenza italiana nell’eurozona.

Solo a quel punto, se mai ci si dovesse arrivare davvero, il capo dello Stato Sergio Mattarella, fedele al suo metodo «minimalista», cercherà un modo per intervenire, seguendo lo stesso modus operandi già praticato con successo nelle trattative per la formazione del governo, nella primavera scorsa. Sempre che a quel punto di non ritorno si arrivi davvero. Il governo e la maggioranza si proclamano compatti e lo saranno di certo quando, oggi alle 17 alla Camera e probabilmente mercoledì prossimo al Senato, il premier Conte riferirà sulla crisi con l’Europa.

IN REALTÀ soprattutto nella Lega sembra crescere la tentazione di affondare la nave gialloverde un attimo prima di arrivare al cozzo con l’iceberg europeo.