Rimandati a maggio, ma stavolta senza possibilità di appello. Il verdetto della Commissione europea, annunciato ufficialmente ieri nella presentazione del Rapporto sul debito, era già noto. Significative non erano quindi le decisioni ma il tono generale. Che non è rassicurante.
«Già da oggi ci sarebbe da aprire una procedura per debito eccessivo», ha detto il vicepresidente Dombrovskis, rappresentante dell’ala più dura della Commissione. La quale, tuttavia, «ha considerato gli impegni del governo». Di conseguenza «la decisione se raccomandare o no l’avvio di una procedura sarà presa solo in base alle previsioni economiche di primavera 2017», tenendo conto «dell’attuazione degli impegni di bilancio assunti dalle autorità italiane». Per quella data l’Italia dovrà essersi mossa «in modo credibile». I costi per le emergenze terremoto e migranti, ha segnalato Dombrovskis con una certa brutalità «sono stati completamente ignorati in questa valutazione». Un modo chiaro per rispondere a chi, come Renzi e lo stesso Padoan, avevano insistito a lungo sulla necessità di conteggiare quelle spese.

Ma è il giudizio complessivo l’aspetto meno tranquillizzante. L’Italia «presenta eccessivi squilibri macroeconomici», recita il documento sul progresso delle riforme strutturali e Dombrovskis chiosa senza girarci intorno: «Tutte le opzioni sono aperte, incluso ovviamente il braccio correttivo della procedura per gli squilibri macroeconomici». Minaccia tanto meno peregrina in quanto la Commissione registra nella situazione italiana una possibile fonte di infezione anche al di là dei confini: «L’alto debito pubblico e dinamiche di debole produttività comportano rischi di rilevanza transfrontaliera. Data la sua importanza sistemica l’economia italiana è una fonte di potenziali effetti negativi nel resto della zona euro». La Commissione, inoltre, agita lo spettro di una terza possibile procedura ex post sui conti del 2016, qualora si rivelassero distanti dalle aspettative.

Le previsioni europee, sia pur presentate col dovuto tatto e abbondanza di periodi ipotetici, non sono rosee su nessun fronte. La già fiacca ripresa è esposta nel 2017 a «rischi di revisione al ribasso». L’avanzo primario è in discesa. Occorre «un ulteriore sforzo per quanto riguarda il sistema bancario», anche se sia Dombrovskis che la colomba Moscovici hanno negato che si profili una “tempesta perfetta” provocata dall’intreccio tra fragilità delle banche e instabilità politica. Sulle riforme, infine, la Commissione riconosce che alcune riforme «positive» sono state fatte, però «l’impulso è rallentato dalla metà del 2016».

La commissione ha anche bacchettato la Germania per il suo surplus commerciale. Ma, almeno per ora, è una causa persa: il ministro della Finanze Schaeuble ripete che il surplus tedesco è una conseguenza del Qe voluto da Draghi.

Padoan, dopo aver incontrato Moscovici e avergli ribadito l’intenzione del governo di varare in tempo la manovra, ha cercato di volgere quanto più possibile in positivo il quadro. Ha ammesso che senza la correzione la procedura sarebbe «molto probabile» ma ha aggiunto che tagliare il debito «con un intervento contenuto» è nell’interesse dell’Italia. Ha affermato che le buone ragioni italiane quanto a spese eccezionali sono state riconosciute, «altrimenti la correzione richiesta sarebbe stata del triplo». Ha assicurato che l’Europa «apprezza l’ampiezza delle riforme italiane». Però «bisogna fare di più».

Il ministro dell’Economia, che ieri sera ha incontrato Gentiloni a palazzo Chigi, non può che mettere le cose in questo modo, anche se la nuova impennata dello spread, tornato proprio ieri a quota 200, ha smentito le sue affermazioni di martedì sulla stabilizzazione dello stesso spread. Ma la realtà è che lui e tutto il governo sono preoccupatissimi. Non tanto per la manovra d’aprile, di peso limitato. Ma perché con queste premesse la prossima legge di bilancio dovrà essere durissima.