Circa un’ora di colloquio e un breve inserto sul Datagate. Lo scandalo delle intercettazioni illegali messe in campo dall’Agenzia nazionale per la sicurezza Usa (Nsa) non ha scompaginato l’agenda dell’incontro tra John Kerry, in visita in Italia, ed Enrico Letta. Al segretario di Stato Usa, il presidente del Consiglio italiano ha posto la questione del Datagate «per capire la veridicità di informazioni circolate su eventuali attività di violazione della privacy» ma con il dovuto senso delle proporzioni. Intanto, il vicepremier Angelino Alfano garantiva ai giornalisti che il suo governo ha «un dovere di chiarezza nei confronti dei cittadini italiani», quello di «acquisire tutta la verità e dire tutta la verità senza guardare in faccia a nessuno».

Difficile pensare che, viste le proporzioni dello spionaggio, estese a tutta Europa, proprio l’Italia sotto ombrello Nato ne fosse risparmiata. I documenti rivelati dall’ex consulente Cia Edward Snowden hanno dimostrato che la Nsa ha monitorato l’attività economica e politica di imprese e uomini politici in vari continenti e che anche tutte le ambasciate e le sedi diplomatiche europee sono state oggetto di intercettazioni illegali. Alcuni servizi, come quello britannico, erano della partita. «Mi sento di escludere che i servizi sapessero», ha dichiarato invece il sottosegretario con delega all’Intelligence, Marco Minniti, ascoltato ieri dal Copasir, il Comitato di controllo sui servizi segreti. Per Minniti, non c’è evidenza che gli Usa abbiano raccolto dati sulle comunicazioni italiane e che il vasto spionaggio rivelato da Le Monde per la Francia sia accaduto anche in Italia. In ogni caso – ha assicurato Minniti – è ferma intenzione del governo fare chiarezza «sulla vicenda privacy». Di certo, la Nsa non ha solo ficcato il naso nei fatti privati di mezzo mondo, il Datagate non è solo una faccenda di violazione della privacy, per quanto grave. In nome della «sicurezza» e della «lotta al terrorismo» (e del profitto), gli Usa hanno assunto una delega di fatto per carpire dati economici e politici, in barba alla sovranità degli stati e anche ai «doveri» verso i propri alleati. Dopo l’attentato alle Torri gemelle e l’adozione del Patriot Act (il 23 ottobre 2001), senza contrappesi per parametrare la democrazia in rapporto alla giustizia sociale, l’ossessione per la sicurezza ha permeato la società nordamericana. Ha messo all’angolo anche le iniziali promesse del democratico Obama e mandato al rogo le 8 «gole profonde» (il numero più alto di spie di tutte le amministrazioni Usa) emerse dall’interno del sistema statale (come Manning e Snowden) per chiedere il rispetto delle regole e della trasparenza. La riforma dell’intelligence e la sostituzione dei vertici militari della Nsa con dei civili arriva quando la popolarità di Obama è al punto più basso.

Già a luglio, il Guardian ha pubblicato la lista dei 38 «obiettivi sensibili» dell’Ue. Nel mirino, c’erano rappresentanze e sedi diplomatiche di Francia, Germania e Italia. Ieri, la Ue ha approvato una risoluzione (non vincolante, ma significativa) che richiede la sospensione dell’accordo vigente con gli Usa sul monitoraggio delle transazioni finanziarie a fini «antiterroristici». E il governo tedesco è venuto a conoscenza che persino il telefono cellulare della cancelliera Angela Merkel è stato intercettato dagli Usa. Merkel ha subito chiamato Obama per chiedergli di accertare il fatto, «completamente inaccettabile» che, se provato, necessiterebbe di «immediate e chiare spiegazioni». Obama ha rassicurato la cancelliera: il suo telefono non è mai stato spiato. Anche per ricucire il mini strappo diplomatico con la Francia, «prezioso alleato», Obama aveva telefonato a François Hollande per rigettare «interpretazioni distorte». Per il presidente messicano (neoliberista) Peña Nieto (che pure ha convocato l’ambasciatore Usa) gli ci vorrà molto meno. Dall’Italia, forse sopporterà solo qualche starnuto provocato dalla polvere buttata sotto il tappeto.