La battaglia di Tripoli, che rischia di trasformarsi da un momento all’altro in una nuova Siria, inquieta Bruxelles. Ieri i ministri degli Esteri europei si sono riuniti con al primo punto all’ordine del giorno l’escalation in Libia. Il premier di Tripoli, Fayez Serraj era lì, a tentare di inclinare la bilancia diplomatica a suo favore, dopo essere stato sostanzialmente abbandonato, a cominciare dal principale sponsor: l’Italia.

Serraj ha avuto un incontro con l’Alta rappresentante della politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, che gli ha ribadito come l’Ue si aspetti che «tutte le parti e gli attori regionali cessino immediatamente le loro attività militari e riprendano il dialogo», ricordandogli soprattutto «l’importanza di garantire l’aiuto umanitario», incluso, in tandem con Unhcr e Oim, «proteggere e assistere i migranti nei centri di detenzione».
Serraj ha visto poi il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che ha tentato di convincere ad abbandonare questa posizione di neutralità.

«L’obiettivo dell’attacco delle forze del generale Haftar è chiaro – ha argomentato – ed è quello di far saltare il processo politico e ripristinare il regime totalitario». Questa versione, che rilancia la paura che Haftar si trasformi in «un nuovo Gheddafi» – condivisa dall’ex ambasciatore Giuseppe Perrone – non fa però più breccia né a Roma né a Bruxelles. E a quanto scrive il Wall Street Journal neanche a Washington, dove Trump confida nei consigli dei suoi grandi alleati: Arabia saudita e Egitto, schierati con il generale della Cirenaica.

A Bruxelles si sono anche visti l’inviato Onu Ghassam Salamé e Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, che gli ha confermato totale appoggio. La Nato si dice pronta ad aiutare la Libia – dopo averla bombardata e destabilizzata nel 2011 – a «costruire istituzioni di sicurezza efficaci» se il governo lo richiederà. Il fatto è che Serraj, a tre anni dalla conferenza di Skhirat, non ha fatto alcun passo avanti né sull’assetto costituzionale né sulla sicurezza di Tripoli. Rimanendo ostaggio delle sue stesse, e rissose, milizie, pesantemente infiltrate da jihadisti e trafficanti di esseri umani. Mentre il generale e il suo «Esercito nazionale libico» nei giorni scorsi ha di nuovo respinto un attacco dell’Isis nel Sud, vicino Sebha, il quarto dall’inizio dell’offensiva. Fonti dell’intelligence britannica raccolte dal Daily Express dicono che il califfo al Baghdadi, in fuga dalla Siria, sarebbe in Libia, per farne la nuova testa di ponte dell’Isis. Le forze armate della Cirenaica si sono fermate alle porte di Sirte, città natale di Gheddafi poi ultima roccaforte libica dell’Isis, riconquistata da Misurata. I combattimenti e i raid – un drone russo tipo Orlan10 è stato abbattuto dall’aviazione di Misurata a Sirte – si concentrano su Tajoura, Ein Zara e Zawiya, dove secondo Tripoli avrebbero ucciso anche una donna e i suoi due bambini.

Smentito dall’Eliseo il faccia a faccia, domani a Parigi, tra Haftar e il presidente Macron, il quale ha comunque appena ricevuto il suo ministro degli Esteri, Iahweej. Il generale avrebbe invece incontrato, durante la tre giorni al Cairo da Al Sisi, alcuni funzionari del Pentagono e del comando Africom, secondo il giornale saudita al Sharq al Awsat.