L’Europa si sforza di parlare turco e arabo e si dimentica che una gran parte dei migranti che vorrebbe ricollocare o rimpatriare non ne capisce un fonema, perché parla pashtun o dari, le lingue più diffuse in Afghanistan.

Gli afghani sono il secondo gruppo dopo i siriani tra coloro che rischiano la vita nel viaggio verso l’Europa del Nord (46% i primi, 25% i secondi, per entrambi Germania e Svezia le mete preferite). E al contrario dei siriani, che ultimamente secondo le stime dell’Oim stanno di mese in mese diminuendo un po’ di numero, sono in aumento: l’anno scorso sono raddoppiate le loro domande d’asilo nella Ue (176.900) rispetto all’anno prima, tanto che il tasso d’accettazione è passato dal 43 al 60 per cento.

Ma in futuro, se verrà codificato il parametro negativo di «migrante economico» come vorrebbe il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk, rischiano di essere respinti proprio come ha iniziato a fare, selettivamente, l’ex repubblica di Macedonia.

La politica migratoria concordata a livello di indicazioni della Commissione, di Consiglio e persino di Europarlamento si focalizza sul problema dei siriani, che la confinante Turchia ha molta brama di risolvere a suo modo, e così gli europei si attrezzano a riconoscere l’asilo a chi proviene da Siria, Iraq ed Eritrea, sulla base di una valutazione che riguarda la spannometria più che la statistica – e non certo i diritti umani – cioè il dato per cui le persone provenienti da questi tre paesi possono avere più probabilità di essere accolte perché da lì, l’Eurostat segnala, arrivano il 75% di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato. Gli afghani, fuori.

Certo, sarà assai difficile dimostrare che l’Afghanistan è un «paese sicuro», nel 2015 tra attacchi suicidi e guerra tribale si è registrato il record di vittime civili dal 2009 (11mila) e secondo l’intelligence statunitense nelle trattative già semi-abortite a Islamabad tra il mullah Mansour, nuovo capo dei talebani, il governo di Kabul, Cina e Usa, c’è il rischio- definito «grave» – che si scateni una nuova «rottura politica», ovvero un nuovo salto di livello nella infinita guerra civile che attanaglia il paese.

Nei tre decenni di guerra, intervallati da disastri naturali, gli afghani hanno una lunga storia di migrazione, che da sempre ha privilegiato i paesi vicini. Oggi si calcola che in Pakistan questi profughi, in maggioranza pashtun, siano 2,9 milioni, forse addirittura il 19 per cento della popolazione, e in Iran altri 1,5 milioni (soprattutto hazara e uzbeki). Ma ce ne sono moltissimi anche nei paesi del Golfo, in India, in Russia, in Canada, 100mila solo in Turchia.

Uno studio sull’emigrazione afghana condotto da un’équipe dell’Unhcr nel 2014 calcola che solo il 24 per cento della popolazione, urbana e rurale, non è mai stata «sfollata», profuga dentro o fuori i labili confini del paese senza mare.

Ora però questo flusso migratorio punta sempre più verso l’Europa. Non è difficile capire perché se si considerano le condizioni di partenza e anche il trattamento riservato agli emigrati afghani quasi dappertutto. Basti dire che le rimesse sono passate dal 7,6 % del reddito dei residenti nel 2007 al 6% attuale.

Basti ricordare che partono da un posto dove l’aspettativa di vita arriva a malapena a 60 anni, soltanto il 31% dei ragazzi conclude la scuola primaria (i maschi il doppio delle femmine), e si considera un grande progresso che l’accesso a qualche tipo di servizio sanitario, per lo più a pagamento, sia passato dal 20 al 25 % della popolazione.

Un paese di analfabeti e mutilati, dove ci si indebita per le medicine, le cure mediche, i funerali e i matrimoni (anche di bambine) o per mangiare e seminare i campi se non è papavero da oppio (gli unici appezzamenti pagati in anticipo sul raccolto), quindi si entra in un circuito da dove è impossibile uscire se non si fugge.

E’ in un luogo così che la Ue vuole ottenere dal debole governo del presidente Asharaf Ghani un accordo di riammissione vincolante dei profughi. Avramopoulos, commissario per la migrazione, ha già un incontro in agenda a maggio e a ottobre si prevede una bella conferenza a Bruxelles sui migranti e lo sviluppo in Afghanistan.