«L’accordo non ci farà dimenticare le divergenze sui diritti umani e la libertà di stampa. Ci torneremo in futuro» spiega il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker, rimandando così a un domani indefinito quello che l’Unione europea non è sta capace di fare ieri. Passano gli anni ma l’atteggiamento europeo nei confronti dei migranti è sempre lo stesso: pagare i regimi di turno perché se li tengano impedendogli di arrivare fino a noi. L’Italia lo fece nel 2008 con la Libia di Gheddafi, Bruxelles si ripete oggi con la Turchia di Rayyip Erdogan. L’accordo siglato domenica scorsa a altro non è infatti che questo: il cedimento senza condizioni alle richieste di Ankara, mascherato a parole soltanto da qualche dichiarazione in cui si promettono controlli sul rispetto dei diritti umani da parte del sultano.
Eppure alla vigilia del vertic di domenica sulla crisi dei migranti, all’Unione era arrivata la lettera aperta inviata dal carcere da Can Dundar e Erdem Gul, direttore e caporedattore del giornale di opposizione Cumhuriyet arrestati per aver documentato i traffici di armi della Turchia con l’Isis. Lettera in cui i due giornalisti chiedevano a Bruxelles di non dare credito a Erdogan e soprattutto di non girare la testa di fronte alla continua violazione dei diritti umani e della libertà di stampa nel paese.
Come non detto, anzi come non ricevuto. L’ipocrisia e la realpolitik hanno avuto la meglio sui quei diritti sui quali l’Ue pure dice di essere fondata e per i quali mette sotto esame i paesi che chiedono di entrare a farne parte. Come, per l’appunto, la Turchia.
Invece così non è stato, a ulteriore dimostrazione di come chi fugge dalla guerre e dalle violenze, ma anche dalla miseria, spaventa più dei tagliagole di Daesh. Pur di mettere fine agli arrivi dei profughi Bruxelles promette di pagare 3 miliardi di euro ad Ankara per la gestione dei campi profughi. Doveva essere una cifra definitiva ma il premier turco Davutoglu, a Bruxelles al posto di Erdogan, ha strappato invece l’impegno a trasformarla in una somma «iniziale», lasciando presumere altri stanziamenti. Ma Ankara ha strappato un impegno anche per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti entro ottobre 2016 e per una ripresa del processo di adesione all’Unione europea con l’apertura, entro il 14 dicembre, del capitolo 17 relativo alle questioni economiche e monetarie. In cambio la Turchia, oltre a impedire ai 2 milioni e mezzo di profughi siriani già presenti all’interno dei suoi confini di partire alla volta dell’Europa, faciliterà i rimpatri dei migranti economici passati attraverso il suo confine. Se Bruxelles non ha fatto altre concessioni ad Erdogan si deve probabilmente solo all’opposizione di Cipro. E’ stato deciso che il 15 dicembre la Commissione Ue presenterà un primo rapporto sul mantenimento degli impegni assunti e sulla gestione delle frontiere.
Va detto che se Ankara non è affidabile, anche l’Unione europea fa la sua parte. Specie per quanto riguarda i soldi. Dei 3 miliardi promessi ad Ankara, infatti, solo 500 milioni arriveranno dal budget 2016-2017 della Commissione, tutti gli altri saranno a carico dei paesi membri, Molti dei quali a pagare non ci pensano neppure. Cipro, Grecia, Croazia e Ungheria hanno già detto che non tireranno fuori un euro e anche altre capitali storcono la bocca al solo sentir pronunciare il verbo «pagare». Italia compresa che, stando alla tabelle preparate dalla Commissione dovrà versare 281 milioni di euro. Gli altri contributi, calcolati sulla base del reddito nazionale lordo, sono: 534 milioni dalla Germania, 409,5 dalla Gran Bretagna, 386,5 dalla Francia, 191 dalla Spagna e 117,3 dall’Olanda. Sulla carta i pagamenti dovranno essere effettuati il prossimo 21 dicembre, contestualmente alla presentazione da parte degli Stati dei piani con le eventuali rateizzazioni.
Per oggi infine è previsto da parte della commissione Libertà civili il voto su due proposte di legge riguardanti l’immigrazione: una su un meccanismo permanente e vincolante di ripartizione delle quote dei rifugiati e richiedenti asilo e una per la redazione di una lista di paesi sicuri per il rimpatrio dei migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale.